La lezione di Snowden: siamo tutti meno liberi ed esposti all’arbitrio del Grande Fratello
Quando agli inizi di giugno Edward Snowden ha rivelato che l’Agenzia nazionale per la sicurezza americana, della quale era esperto analista, aveva accesso a tutti i maggiori server del mondo e che tutte le operazioni via internet potevano essere lette o ascoltate negli Stati Uniti, ci siamo sentiti meno liberi.
Le “confessioni” di Snowden, raccolte dal Washington Post e dal Guardian, hanno messo a soqquadro il Pianeta. Gli Stati Uniti braccano come se fosse un criminale questo giovane conservatore di ventinove anni che ha agito per un impulso morale – rovinando la sua vita, mettendo fine alla carriere ed esponendosi a qualsivoglia rappresaglia – ritenendo che non fosse lecito ad un Grande Fratello, con il quale ha collaborato senza sapere, almeno fino a quando non ha avuto accesso a ben più importanti e segreti siti, dell’uso che veniva fatto delle informazioni illecitamente captate. Adesso, come si sa, vaga per l’aeroporto di Mosca, nello spazio riservato ai viaggiatori in transito. Nessuno vuole assumersi la responsabilità di offrirgli asilo politico, mentre gli Usa premono per una consegna immediata che certamente non resterà senza conseguenze sulla sua libertà personale e perfino sulla sua stessa incolumità.
È ovvio che l’amministrazione americana abbia reagito alle rivelazioni di Snowden accampando la necessità di utilizzare i dati indiscriminatamente raccolti in tutto il Globo per garantire la sicurezza globale: il vecchio tic del “gendarme del mondo”, insomma. Ma se si chiede a Barack Obama chi abbia autorizzato uno spionaggio planetario dalle inimmaginabili dimensioni almeno fino a quando non lo si è appreso, sembra cadere dal classico pero e cercare giustificazioni risibili che non convincono per niente. A meno che non si voglia dare ragione agli strateghi di Al Qaeda, come osservano autorevoli commentatori internazionali, il cui obiettivo con la criminale ferocia dispiegata l’11 settembre 2001 e le successive azioni terroristiche, non era altro che quello di generare paura, insicurezza, ripiegamento dell’Occidente su se stesso con conseguenti e coerenti e inevitabili restrizioni delle libertà dei singoli.
Dopo quanto ha dichiarato Snowden sappiamo che l’impresa è riuscita: il diritto alla privacy di genti e di Stati di tutto il mondo è stato selvaggiamente travolto dalla macchina poliziesca degli Stati Uniti i quali, senza il preventivo assenso di nessuno, hanno messo in piedi la più gigantesca ed inestricabile rete spionistica, ad altissima tecnologia, mai neppure ipotizzata da scrittori di spy story e di fantasy.
Perfino l’Europa, tradizionalmente alleata degli Stati Uniti, quando, con deprecabile ritardo, ha scoperto che la sua libertà alla segretezza è stata violata è insorta come un sol uomo: dalla Merkel ad Hollande è stata stigmatizzata la indecente operazione di “sorveglianza” sulle vite degli altri nel Vecchio Continente. Ma a poco serviranno le promesse di ritorsioni sui trattati che riguardano il commercio mondiale, come paventato. Comunque, meglio tardi che mai anche se la reazione europea ha fatto andare di traverso ad Obama il suo viaggio africano.
Tuttavia il ritardo non cancella la responsabilità dei nostri governanti nel non aver posto immediatamente, dunque circa un mese fa, il problema all’amministrazione statunitense che è semplicissimo: la sicurezza va pure difesa con strumenti straordinari (non dimentichiamo che sono state fatte delle guerre, per lo più sciagurate, al fine di “esportare la democrazia”), ma non fino al punto di cancellare le libertà elementari degli individui le cui esistenze private sono da chissà quanto tempo chiuse nei data base in qualche anfratto sepolto nel cuore degli Stati Uniti. C’è un limite anche alla difesa della incolumità (presunta, come si è visto in questi anni) delle persone se essa passa attraverso l’impossessamento della intimità delle stesse e, ancor più grave, della tutela non richiesta degli Stati che oggi sanno di non poter agire senza essere guardati a vista.
La Russia e la Cina sembra che se la ridano. Non sappiamo fino a che punto lo spionaggio governativo americano si sia spinto. Tendiamo a credere che per non attirarsi le ire dei due Paesi li abbiano lasciati fuori dal loro “guardonismo”. Eppure l’irritazione di Putin si è fatta sentire. Ed è naturale: chiunque si sente minacciato. Occorrerebbe una sorta di moratoria nell’uso dell’informatica e di internet che, come si vede, se usati in maniera distorta, costituiscono grandi minacce. Le rivelazioni di Snowden evidenziano che è più facile intercettare una mail piuttosto che una lettera tradizionale, inserirsi in un computer invece che in un appartamento, tenere sotto controllo chissà per quanto telefoni fissi e cellulari evitando lunghi, faticosi e magari inutili pedinamenti. E per quanto riguarda Stati e nazioni un satellite fa quello che un esercito di agenti segreti d’altri tempi non avrebbe potuto fare in decenni. La tecnologia coniugata con la spregiudicatezza politica ci rende meno liberi, insomma, al fine di garantire paradossalmente la nostra sicurezza.
Ma siamo certi che mettendoci nelle mani di un Grande Fratello siamo davvero al riparo da qualsivoglia minaccia?