Lo scandalo delle telefonate spiate si allarga e rischia di travolgere Obama
Non solo i dati sulle telefonate di decine di milioni di americani abbonati a Verizon, AT&T e Sprint. L’attività di spionaggio dell’intelligence statunitense riguarda anche le e-mail, i file conservati nei pc, le foto immagazzinate sui computer o sui telefonini, i contenuti dei social media, le chiamate su Skype, i video postati su Youtube. Persino gli acquisti con le carte di credito sono sotto controllo da parte della National Security Agency dell’Fbi che – ha rivelato il Washington Post – hanno accesso diretto ai dati di tutti i colossi del web: da Microsoft a Google, da Yahoo! a Facebook, per finire alla Apple. Un caso, quello del programma chiamato “Prims”, che sembra allargarsi a dismisura, e che costringe Barack Obama – già in difficoltà per i recenti scandali su fisco e intercettazioni ai giornalisti – ancora una volta a difendersi. Soprattutto dagli attacchi della stampa, con il New York Times – solitamente vicino al presidente – che in un durissimo editoriale lo accusa di aver perso credibilità. «Il programma rispetta la Costituzione, è legale ed è limitato. E nessuno ascolta le telefonate degli americani», replica il presidente, preoccupato per i possibili danni all’immagine della Casa Bianca, anche all’estero. Del resto Obama è in California per l’attesissimo vertice col leader cinese Xi Jinping, che rischia di essere oscurato dalla bufera mediatica scatenatasi sul datagate. L’occasione per dire la sua non è una dichiarazione o una conferenza stampa, ma un discorso sulla riforma dell’immigrazione alla fine del quale accetta, in maniera irrituale, un paio di domande da parte dei giornalisti. «All’inizio ero scettico – spiega – ma quando con il mio staff abbiamo valutato il programma ci siamo convinti che era uno strumento efficace per prevenire atti di terrorismo». Una risposta a chi gli rinfaccia di essere come Bush, le cui politiche aveva tanto criticato. «Il mio dovere – taglia corto il presidente – è quello di far rispettare la Costituzione e il diritto alla privacy, ma anche quello di garantire la sicurezza del popolo americano». E un compromesso tra le due cose non sempre è facile. Obama si mostra quindi disponibile ad avviare una discussione che porti “a un maggior equilibrio tra sicurezza e rispetto delle libertà civili”. Ma sia chiaro, afferma: non c’è niente di segreto, tutti quelli che dovevano sapere – dentro e fuori il Congresso – sapevano: «Il programma è stato più volte autorizzato dal 2007 con un ampio sostegno bipartisan». Non è un caso se la polemica nasce soprattutto dai giornali e della associazioni civili, ma non da Capitol Hill, dove democratici e repubblicani confermano le parole del presidente. Con qualche protesta solo di alcuni parlamentari liberal o della destra dei Tea Party. Intanto alla Silicon Valley serpeggia il timore di finire sul banco degli imputati. Così Google precisa come “i dati all’amministrazione vengono forniti nel rispetto della legge”. E se la Apple fa sapere di non avere idea di cosa si stia parlando e di non avere mai fornito ad alcuna agenzia governativa accesso ai propri server, Facebook spiega come “proteggere la privacy e i dati dei propri utenti è la priorità assoluta”. Ammettendo però come le richieste di informazioni su individui specifici da parte delle autorità vengano esaudite “nelle misure previste dalla legge”