L’Italia esce rafforzata dal G8. Letta: piena sintonia con Obama. Intesa sulla lotta ai paradisi fiscali
«C’è una fortissima sintonia tra i temi che qui sono emersi e la maggioranza che ha dato fiducia al mio governo». Così Enrico Letta al termine del G8 in Irlanda del Nord citando in particolare i temi della lotta all’evasione fiscale e alla disoccupazione. Nel corso del G8 – ha continuato il premier – è emerso «un grande ombrello di accordi, intese e strategie che spingono le politiche del mio governo; ho trovato molte conferme e stimoli molto forti». Intendiamoci, non è da oggi che Enrico Letta è un ammiratore del presidente americano, ma stavolta la sintonia sembra totale: «Cogliere da Obama preoccupazione e interesse per il tema della lotta alla disoccupazione giovanile mi è sembrato un momento molto importante – ha aggiunto – e anche il suo inserimento del tema nel comunicato finale è un risultato molto positivo per noi, l’abbiamo proposto noi, e ci rafforza in vista del Consiglio Ue di fine mese e del vertice a Berlino del 3 luglio».
Molti i temi sul tavolo del vertice nell’Ulster, tra cui la situazione in Siria. I leader del G8, si legge nelle conclusioni, sostengono fortemente la decisione di tenere al più presto possibile la Conferenza di Ginevra sulla Siria per attuare il comunicato del 30 giugno 2012, che fissa una serie di passi fondamentali, «cominciando con l’accordo su un organo di governo transitorio». Viene inoltre condannato ogni uso di armi chimiche in Siria e chiesto a tutte le parti di permettere l’accesso a un team dell’Onu perché indaghi su queste accuse. I leader del G8 restano impegnati al raggiungimento di una soluzione politica della crisi basata sulla visione di una Siria unita, inclusiva e democratica. Il presidente russo Vladimir Putin, a questo proposito, ha assicurato che molti leader del G8 hanno gli stessi dubbi di Mosca sull’uso delle armi chimiche da parte del legittimo governo di Damasco. Il documento dei Grandi esprime anche «profonda preoccupazione per la crescente minaccia dal terrorismo e l’estremismo in Siria, così come della natura sempre più settaria del conflitto». E chiedono che le parti siriane nella conferenza di Ginevra, governo e opposizione, «s’impegnino congiuntamente per distruggere ed espellere dalla Siria tutte le organizzazioni e gli individui affiliati ad al Qaeda», circostanza questa che rimette in gioco la leadership del presidente Assad, che da tempo sostiene che quella in Siria sia una ribellione eterodiretta.
I leader riuniti a Lough Erne hanno inoltre raggiunto un accordo sul rifiuto a pagare riscatti in caso di rapimenti da parte dei terroristi. Lo hanno annunciato fonti britanniche a margine del summit, precisando che i capi di Stato e di governo degli Otto hanno rivolto un appello perché anche le società rifiutino di pagare i riscatti nel caso di rapimento di loro dipendenti. Su questo tema, però, l’Italia in passato ha agito ben diversamente, come ricordiamo tutti. Sul fronte occupazione e crisi, «la nostra priorità è dare impulso alla crescita e all’occupazione». Inoltre «misure urgenti e specifiche sono necessarie per creare posti di lavoro di qualità, particolarmente per i giovani e per i disoccupati di lungo periodo. Le riforme strutturali sono fondamentali per migliorare la crescita sostenibile e gli standard di vita nel lungo periodo – è scritto nella bozza di conclusioni – per rafforzare la competitività, per fornire canali di credito ben funzionanti per gli investimenti, anche alle piccole e medie imprese, e per rafforzare la fiducia». Di qui l’impegno ribadito da tutti i leader di fare le riforme necessarie nelle nostre economie per sostenere sistemi finanziari più forti, mercati del lavoro sani, occupazione e crescita e per sostenere il commercio mondiale. Inoltre il prelievo fiscale è fondamentale per la crescita economica, ha detto il premier britannico David Cameron nel corso della conferenza stampa conclusiva. Per gli evasori fiscali, insomma, non dovrebbero esserci luoghi in cui nascondersi e i governi si impegneranno per garantire che le aziende siano sottoposte a un non meglio quantificato prelievo fiscale, definito però «adeguato».
Un altro motivo di affinità tra Letta e Obama può essere ravvisato nella formula “caminetto”, voluta l’anno scorso dal capo della Casa Bianca a Camp David e riproposta a Lough Erne da David Cameron: anche Letta portò la sua squadra in convento per provare a “fare squadra”, e nello stesso modo gli incontri ristretti tra gli otto leader, al massimo con uno sherpa, seduti uno accanto all’atro attorno a un tavolo tondo con un “dress code” rigorosamente informale, di certo stanno dando una mano a fare recuperare al Club un peso anche nella governance. Anche se non abbastanza da scongiurare il tramonto della formula, ormai superata da quella del G-20 perché più rappresentativa, con la Cina e gli emergenti, del nuovo governo mondiale. L’edizione 2013 di Lough Erne ne è l’ennesima dimostrazione: si chiude – come perltro tutti i summit di questo tipo – con risultati che i più giudicano modesti. Ma quel vedersi, parlarsi e riparlarsi in Otto per due giorni, chiusi in un resort seppur di lusso, ha segnato comunque un punto a favore del formato ristretto dei Grandi della Terra. Il cui destino è affrontare i grandi temi, lasciando poi le decisioni ad altri tavoli, da quello Nato ai vertici Ue. Insomma, nessuna bacchetta magica né provvedimenti concreti, ma forse una cornice in cui operare.
I venti della crisi iniziarono a spirare sei anni fa dall’altra parte dell’Atlantico, raggiungendo presto il vecchio continente e tutte le economie mondiali, portando il mondo a puntare sul G20: un formato che meglio rappresenta la nuova governance mondiale anche alla luce del sempre maggiore peso dei Brics (Brasile-Russia-India-Cina e Sudafrica). L’America esce ridimensionata, privata di autorevolezza e non più in grado di candidarsi a esercitare un ruolo di leadership nella conduzione delle riforme paragonabile a quello svolto durante altre crisi internazionali, ma di fronte all’Unione europea è sempre un gigante, ed è per questo che le decisioni dei prossimi anni non potranno passare che il dialogo con Washington e – sorpresa – il nemico dell’altro ieri Mosca.
Infine, a sorpresa, sembra ci sia una svolta in Afghanistan – annunciata nell’Ulster – con l’avvio di negoziati diretti tra Usa e talebani. Negoziati dall’esito tutt’altro che scontato e ai quali gli Stati Uniti si accostano con i piedi di piombo ma che fanno comunque baluginare un lampo di speranza dopo dodici anni di guerra, attentati e migliaia di morti. Gli insorti afghani hanno aperto oggi ufficialmente un ufficio politico in Qatar con «il proposito di avviare un dialogo con il mondo», un’offerta immediatamente raccolta dalla Casa Bianca e dal presidente Hamid Karzai, che hanno annunciato l’invio nei prossimi giorni di delegazioni a Doha.