Diciotto mesi per riscrivere la Costituzione. E se l’ingranaggio s’inceppa torniamo a votare? E con quale legge?
Allora, a ottobre dell’anno prossimo avremo la nuova Costituzione o, quantomeno, una Costituzione significativamente riformata. Dunque, caratterizzata da una forma governo differente da quella attuale. E cioè dall’elezione diretta del capo dello Stato. E poi il monocameralismo (o forse con il Senato delle autonomie) e la riduzione dei parlamentari, più altri accessori non meno importanti. Parola del ministro Gaetano Quaglieriello. Il quale ha fissato il “cronoprogramma” della Grande Riforma. Ed ha pure sottolineato che non vi saranno interferenze tra il Comitato dei saggi che si è insediato ieri ed i lavori parlamentari. Ci riesce difficile capire, ma non ha importanza. Sappiamo solo, perché lo prevede il decreto, che i primi riferiranno al governo, questi passerà la palla alle Commissioni di merito, anzi ad una sola Commissione formata da senatori e deputati, e poi il testo elaborato arriverà in Aula. Temiamo di aver commesso qualche errore, ma – si converrà – non tutto è proprio chiarissimo.
Quagliariello ha detto diciotto mesi e noi, che pur compiamo numerosi atti di fede quotidianamente, gli crediamo anche perché abbiamo sincera stima per l’uomo. E ce lo auguriamo, naturalmente. A patto di non ritrovarci con una risciacquatura dell’attuale Costituzione. Se, per esempio, non dovesse contenere una nuova forma di governo, giudicheremmo perduto il tempo dedicato al processo di riforma e parole gettate al vento quelle fin qui udite. Ma il nostro è soltanto un eccesso di pessimismo.
Attendiamo con ansia la prima lettura in una delle due Camere alla fine di maggio. E poi il botto a ottobre con il voto definitivo.
In tutto questo tempo, se è lecito chiederlo, dalle parti del Pd siamo proprio sicuri che vedranno scorrere il tempo come l’acqua di un fiume e nessuno sarà tentato di gettare neppure un sassolino nell’ingranaggio così ben costruito dal ministro Quagliariello e dal presidente del Consiglio Letta? I due terzi necessari per l’approvazione di un disegno di legge costituzionale siamo certi che ci saranno nei due rami del Parlamento? Tutto il Pd (Bindi, Civati, giovani turchi e via elencando) voterà compatto il semi-presidenzialismo (perché sia chiaro, se si esclude questo è inutile provare a fare modifiche: sarebbero semplicemente inutili)? E Renzi, un giorno possibilista, un altro scettico, un altro ancora contrario, permetterà ai suoi che venga varata una riforma che lo vedrebbe soccombente se si presentasse come candidato alla presidenza, mentre sarebbe maggiormente alla portata Palazzo Chigi, dunque premier di un esecutivo parlamentare? E la Lega, per quel che conta, appoggerebbe in toto il progetto?
Interrogativi politici che cozzano contro quelli tecnici. Questi sembrano schiudere paradisi istituzionali, quelli le difficoltà di tenere insieme ciò che non può stare insieme. E per quanti sforzi facciano Letta e compagni, la sinistra rimane ostile a qualsiasi tipo di riforma costituzionale che non sia la sua. Vorremmo che almeno questo fosse chiaro ai cittadini, sempre che gliene importi qualcosa a fronte di un conflitto sociale dalle dimensioni apocalittiche e di una crisi economica che si aggrava giorno dopo giorno.
Infine, una domanda. Se, trascorsi i diciotto mesi, non si sarà ancora visto nulla, il capo dello Stato ci rimanderà a votare o no? E in ipotesi, con quale legge? Ecco. A scanso di equivoci forse sarebbe stato meglio varare prima una legge elettorale e poi pensare a tutto il resto. O no?