Né rottami né “destrutti”: la destra “asfaltata” non si rassegna alla marginalità. E parte una serie di incontri da Roma a Ferrara
Ritrovare la strada di casa, ricomporre un mondo umano e politico come quello della destra, che in questi anni è stato «asfaltato», come dice senza perifrasi Gennaro Malgieri; ritrovare luoghi di dibattito all’insegna di idee chiave, come rifondare un nuova Repubblica in senso presidenziale, che sono da sempre il nostro biglietto da visita ma che ora più di ieri servono al bene e alla coesione del Paese. Con una buona dose di autocritica e di umiltà. Questo il senso del convegno all’ Adriano di Roma dove, nonostante il sabato estivo invitasse a lidi più riposanti, è confluita una nutrita folla di persone, amici, politici. Senza lustrini e personalismi, perché questo «non è più il tempo delle parole senza idee, bensì il momento delle idee con poche, chiare, parole», dice Gennaro Malgieri che ha fatto gli onori di casa. «Quello di oggi è un primo passo, un invito informale che intende proseguire con una tre giorni a Ferrara ( 30, 31 maggio e 1 giugno), per discutere, riflettere e cercare con uno sforzo di volontà di ricomporre le fratture che si sono create» nel mondo della destra passata anche attraverso le esperienze di governo. «Missione impossibile? Non lo so – argomenta- ma abbiamo il dovere di provarci, come ci proverebbe Teodoro Buontempo, che se fosse ancora in vita, sarebbe qui tra noi. Dobbiamo provarci, metabolizzando il fatto che la destra sia stata scientemente asfaltata in questi anni. Non si fa politica con i rancori, ma la si può fare partendo dalla constatazione che una destra “diffusa” esiste nella coscienza degli italiani e dunque è il momento di fare network e mettere in rete tutto ciò che si muove nel nostro mondo. Immaginiamoci – esorta – come una grande rete territoriale che lavori per restituire una certa idea dell’Italia, che certamente non è quella rappresentata, ad esempio, dalle modalità da “simonia laica” che hanno fatto da cornice alle recenti elezioni presidenziali. Quindi tenere alta la bandiere del presidenzialismo che in questi anni è stata ammainata è ora uno dei presupposti su cui rifondare una nuova pagine della politica».
Mario Landolfi, intervenuto subito dopo non ha certo sottovalutato «le criticità e le delusioni» di cui è lastricato il percorso della destra. «Non dobbiamo prendercela solo con gli “asfaltatori”», dice rilanciando «il dovere morale di riprendere una battaglia politica nel segno delle idee-guida del Presidenzialismo e della Costituente. Modelli che se in passato potevano superare la cappa partitocratica che bloccava il Paese, ora si rendono urgenti per altri motivi, tra tutti la coesione nazionale», dice l’ex parlamentare del Pdl che fa un esempio pratico, identificando, ad esempio, nella Conferenza Stato-Regioni una “iattura” per l’unità e la dignità dello Stato, un elemento di «sbriciolamento degli interessi nazionali nei personalismi regionali». Esaminando ancora il percorso che ha portato il centrodestra ad “espungere” gradualmente la componente di destra, Landolfi usa la metafora del Titanic, che affonda e mentre affonda, non poteva mettere in salvo tutti: «C’è stata una sorta di “caccia agli ex An” – dice – ma non dimentichiamo che questo è stato anche l’effetto di un campo lasciato libero, di un nostro errore». È stato un errore procedere al Partito unico? «No», risponde. «L’errore è stato quello di farlo eliminando le nostre difese immunitarie costruite a Fiuggi, lasciando andar via, strada facendo, molti amici che avevano contribuito a “fare” An». Domenico Benedetti Valentini argomenta che «la destra da sola probabilmente non può farcela, ma che senza una destra nessuno ce la fa a vincere e a governare: senza i valori di una destra diffusa, culturale non è possibile dare risposte convincenti, solidaristiche alle emergenze sociali e morali». «La destra – ha aggiunto – ha sempre promosso l’incontro tra le generazioni e da noi non ci sono “rottamatori e rottamati”: “rottame” è chi non produce più idee, chi si contenta di rimanere attaccato al relitto, pur sapendo che di relitto si tratta».
Pasquale Viespoli sprona pertanto il mondo che si riconosce attorno alla destra «ad uscire da questa dimensione di “presentismo” suggerita dall’emergenza del nuovo governo. «Spero che faccia bene tutto ciò che si è prefisso -dice- ma non potrà a lungo fare a meno delle storie politiche che sono al suo interno in nome di un pragmatismo quotidiano. Quello che più mi manca – confida – non sono le candidature ma l’appartenenza politica». Presidenzialismo avanti tutta, allora: «Perché non proporre un referendum di indirizzo che chieda a cittadini quale Repubblica vogliono?». Silvano Moffa, che è stato il promotore dell’incontro e di quelli che seguiranno, rilancia pertanto «il dovere morale verso la comunità con la quale ci siamo sempre rapportati di aprire una nuova stagione per la Destra italiana». È mancata una sintesi culturale in questi anni che ha fatto venire meno quell’idea di grande Casa del centrodestra che doveva somigliare al Ppe. Il vuoto della politica, determinato dalla crisi dei partiti e dalla loro trasformazione in sistemi oligarchici, privi di reale democrazia all’interno e subalterni a leadership fortemente personalizzate, unitamente ad una legge elettorale che non lascia spazio a selezioni meritocratiche delle classi dirigenti, sono elementi che hanno accentuato il declino del nostro Paese. Molte le adesioni a questo “cantiere” della destra diffusa: Adriana Poli Bortone ha inviato una lunga e calorosa lettere di adesione e in sala erano presenti, tra gli atri, Donato Lamorte, “memoria storica” della destra e Francesco Storace, accolto con un applauso.