Maggioranza unita sulla “mission” di Letta: «Andremo a parlare con l’Europa a schiena dritta per chiedere sviluppo»
L’Italia, a un passo dal tornare a far parte dei paesi «virtuosi», va a trattare in Europa «con la schiena dritta» a rivendicare il rispetto degli impegni presi, ma anche e, soprattutto, a chiedere di più a Bruxelles. Perché se l’Unione europea non imprime un’accelerazione, «così com’ è implode». Il premier Enrico Letta si prepara al suo primo consiglio europeo con grande determinazione, consapevole del fatto che pur trattandosi di un summit tematico, tutto incentrato su energia e lotta all’evasione fiscale, sarà fondamentale anche per gettare le basi della strategia italiana in Europa che ha come cardine quella che il premier torna a definire una «priorità assoluta»: le misure contro la disoccupazione giovanile. Per questo ha deciso di “blindare” con un mandato pieno di Camera e Senato la sua missione europea. Annunciando anche che a fine vertice chiederà ufficialmente, con una lettera al presidente della Ue, Herman Van Rompuy, interventi concreti per l’occupazione giovanile a giugno. Tema sul quale Letta ha incassato, durante una lunga telefonata, anche il pieno appoggio del presidente Usa Barack Obama, che già un anno fa, in occasione del G8 di Chicago aveva sostenuto appieno l’Italia sul fronte della crescita. Ma il premier, nel suo intervento in Parlamento, va oltre e traccia l’Unione del futuro, quegli «Stati Uniti d’Europa» che, dice, «restano il sogno e l’ambizione principale». Perché l’Europa, assicura, «così non basta. Vogliamo molto di più e molto meglio”». Insomma l’Italia ha rialzato la testa, ha rispettato i suoi impegni – e lo ha fatto non tanto perché lo chiedeva Bruxelles, quanto «per i suoi figli» – e ora è pronta a chiedere. Perché tornare indietro sarebbe una follia: «Non possiamo permetterci – ha detto Letta – di vanificare i sacrifici fatti fino ad ora, di suscitare dubbi nei mercati e far tornare l’Italia sotto esame». Le fondamenta della strategia italiana in Europa sono per Letta l’uscita dell’Italia dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo e il rientro nel club dei paesi virtuosi. Non solo per i margini di azioni maggiori che si potrebbero avere sul fronte degli investimenti produttivi o per i benefici sul debito secondario che si rifletterebbero in un minor costo del denaro per le imprese, ma anche per una ritrovata credibilità. «Sarebbe un segnale importantissimo» che segnerebbe una «nuova rotta tracciata per l’Italia e l’Europa». E soprattutto, darebbe all’Italia nuovi strumenti. Tornare a far parte dei paesi virtuosi, assicura infatti il premier, «ci permetterà di avvantaggiarci della nuova interpretazione delle regole del Patto di stabilità e di crescita che concede margini di azione maggiori per alimentare gli investimenti pubblici produttivi e sul capitale umano quando sono collegati a riforme strutturali o a misure che aumentano la crescita potenziale». «Le domande italiane – ha concluso – hanno risposta europea a condizione che l’Europa non si traduca in una gabbia di vincoli, regole e procedure» che finiscono spesso per comprimere l’azione di «famiglie, cittadini e imprese».