La guerra siriana è diventata planetaria. E di Quirico si sono perse le tracce
Bashar el Assad non ha notizie di Domenico Quirico, l’inviato della Stampa del quale da oltre quaranta giorni si sono perse le tracce. Lo ha dichiarato al quotidiano argentino Clarin, aggiungendo che “quando abbiamo informazioni su qualsiasi giornalista entrato illegalmente, le trasmettuiamo al suo Paese”. Affermazioni che fanno temere il peggio e spalancano alla nostra considerazione la tragedia siriana, per provincialismo congenito e pressappochismo nella valutazione degli avvenimenti internazionali sottovalutata fin qui.
La guerra – perché di questo si tratta – in Siria sta assumendo, nell’indiffrenza dell’Unione europea (come abbiamo già rilevato sul Secolo), connotati planetari. I soggetti in campo non sono più il regime di Damasco ed i suoi oppositori, con i comprimari dell’area a cominciare dalla Turchia. La Russia ritiene strategici gli assetti garantiti da Assad, come pure la Cina. Gli Stati Uniti sono di diverso avviso e paventano un’escalation incontrollabile dell’aggressione siriana soprattutto ai danni di Isarele dopo che Mosca ha rifornito il regime dei micidiali missili Yakhnot dotati di un sistema radar in grado di neutralizzare sia un blocco navale che un’ipotetica no fly zone delineata da una forza internazionale. Non è peregrina oltretutto l’ipotesi che i micidiali ordigni finiscano, come nel passato, nelle mani di Hezbollah. Intanto il Qatar ha versato circa tre miliardi di dollari ai ribelli, mentre nelle file dell’opposizione guadagna terreno e consensi la fazione irachena di Al Nusra, affiliata ad Al Qaeda. La Turchia, dapprima ostile ad Assad e finacheggiatrice degli oppositori, si è un po’ tirata indietro nella consapevolezza che senza un appoggio certo e visibile degli Usa potrebbe essere inghiottita dalla crisi a vantaggio della Russia che preme per l’egemonia assoluta nell’area. Non a caso Putin ha ordinato a gennaio una grande esercitazione navale nel Mar Nero e nel Mediterraneo con ventiquattro navi militari, a febbraio ne ha dispiegate quattro al largo delle acque territoriali siriane e, come abbiamo documentato pochi giorni fa, ha sostanzialmente occupato il Mediterraneo orientale facendo stazionare ben dodici navi dotate di armamenti sofisticati davanti alla base di Tartus.
Assad, forte dell’appoggio di Mosca, ha fatto sapere che diserterà il vertice di “Ginevra 2”, convinto che lì non sarà “parte”, ma imputato. E pur di far saltare l’incontro voluto dall’Onu soprattutto, la Russia gli dà manforte ponendo come condizione per esserci l’estensione dell’invito all’Arabia Saudita e all’Iran, paese questo che tra poche settimane sarà chiamato ad eleggere il nuovo presidente della Repubblica Islamica: se dovesse vincere il vecchio ma mai domo Rafsanjani (che proprio nello scorso fine settimana ha sottoposto la sua candidatura al Consiglio della Rivoluzione) quale sarà l’atteggiamento di Teheran che finora ha appoggiato senza riserve la Siria ed ha rifornito abbondantemente di armi Hezbollah?
A Damasco si contano le vittime. 90 mila i morti; 1, 5 milioni i profughi; i danni ammontano a 80 miliardi di dollari. Gli equlibri nella regione stanno cambiando. Erdogan non è più così ostile alla Russia e si accontenta del riconoscimento della sua area di influenza nei balcani meridionali e nel Caucaso nord-occidentale, pur di non finire stritolato. Israele è sempre più solo e potrebbe ripetere, per disperazione, i bombardamenti di aprile al fine di impedire che le armi arrivino a Hezbollah. Assad non ripone nessuna fiducia nella diplomazia ed è sempre più sicuro di sé poiché l’opposizione è divisa ed ha facile gioco nel sostenere che essa è foraggiata dall’esterno. Non ha mai pensato di dimettersi, meno che mai oggi. Attende “fiducioso”, così dice, il voto presidenziale del 2014. Non è detto, come credono gli analisti occidentali, che perderà. La sua vittoria verrà cavalcata da Russia e Cina e tutti dovranno fare i conti con lui, per quanto abbia le mani lorde del sangue dei suoi connazionali.
La guerra, dunque, riguarda tutti. La sola a non accorgersene è l’Unione europea che osserva indifferente ciò che accade nel suo mare.