Il Pd dal leader improvvisato al leader del “tira a campare”

13 Mag 2013 15:23 - di Oreste Martino

Povero Pd. Dopo due mesi di agonia, una triste sala grigia della nuova fiera di Roma ha eletto il nuovo segretario del partito. Guglielmo Epifani è l’ex capo della Cgil. A parte questo – che potrebbe già bastare – si tratta indubbiamente di una scelta per provare a “tirare a campare”, coerentemente con la ragione sociale del governo guidato dall’ex vicesegretario del Pd, Enrico Letta.  Dopo due mesi di umiliazioni in diretta streaming, di spaccature interne al Pd e di figuracce per l’elezione del Presidente della Repubblica, Pierluigi Bersani si è dimesso. Persona per bene, leader improvvisato, campione delle liberalizzazioni (ma solo contro i settori avversi alla sinistra), Bersani ha raccolto quello che ha seminato. Una campagna elettorale arrogante, una sicurezza della vittoria che non aveva nemmeno Occhetto nel 1994, l’ex segretario del Pd non era l’uomo giusto per andare a Palazzo Chigi. Chi ci credeva o era un illuso oppure aveva le sue convenienze. E infatti non pochi “bersaniani di ferro”, dinanzi alla prime difficoltà post elettorali, hanno scaricato il loro vecchio leader. La verità è che Bersani non era il leader del Pd, ma solo l’uomo che metteva d’accordo tutta la vecchia guardia, unita come un blocco di marmo contro il rottamatore Renzi alla primarie. Il sindaco di Firenze era ed è una minaccia per gli ottimati del Pd. Per loro, la paura di perdere la piccola rendita di posizione è maggiore del pericolo che il partito possa scoppiare. Eppure ancora oggi i “soliti noti” sono uniti nella lotta e nel non voler capire che il problema principale del Pd è proprio la vecchia guardia. Sono loro la causa di tutti i problemi del partito. La sinistra accusa spesso Berlusconi di aver messo in scena un one man show. Ma nel Pd non accade uno spettacolo analogo? Solo che al posto di uno ci sono i soliti (e pochi) noti e soprattutto Berlusconi vince le elezioni e loro le perdono. Un dettaglio di poco conto…
Eppure, la vecchia guardia del Pd continua, imperterrita. Ieri Bersani, oggi Epifani. Decidono sempre e comunque loro. Con la paura che in autunno, con il congresso aperto a tutti, vi possano essere sorprese spiacevoli. Questa è la loro unica preoccupazione. Il fatto che la leadership del Pd sia contendibile, espone le Bindi, i D’Alema e i Franceschini al rischio di essere travolti dalla loro stessa base. Lo sanno benissimo e già da oggi tramite Epifani staranno imbastendo il solito “cartello” che impedisce al Pd di vincere le elezioni ma alla vecchia guardia del Pd di resistere. Sono loro, in fin dei conti, i più grandi sostenitori di Silvio Berlusconi. Intanto i sondaggi sono disastrosi, i giovani occupano le sedi di partito e i gruppi parlamentari sono divisi in mille piccoli pezzi.
La scelta di Epifani, un vecchio sindacalista in pensione, è una scelta di concertazione tra le correnti e non un segnale di apertura del partito verso il futuro. L’accordo tra ex Pci ed ex sinistra Dc, il compromesso storico alla base del Pd, sta crollando sotto i colpi delle batoste elettorali. Forse la vecchia guardia democratica se ne accorgerà solo quando non ci sarà più un tetto sotto il quale ripararsi dalla violenta tempesta.

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