Biglietto d’amore del prof all’allieva. E l’università va in tilt
Un bigliettino d’amore di un professore a una studentessa scatena un caso all’università di Urbino. Questi i fatti: un docente, sulla sessantina, scrive queste parole a una sua studentessa, iscritta a una laurea specialistica: “Sono innamorato di te, dobbiamo vederci da soli”. Il contenuto è esplicito. Si tratta di un corteggiamento audace, ma sicuramente non minaccioso. La studentessa, forse sentendosi sotto ricatto, decide di non ignorare l’avance e stampa quel bigliettino su un volantino che distribuisce in tutto il Magistero chiosando: “Ecco come si comportano i docenti”. Tutti leggono, disapprovano, commentano. Interviene il Senato accademico e per il professore si profila il richiamo pubblico forse attraverso lo stesso sito dell’Università. Il voto contro il professore innamorato è stato unanime.
La vicenda tuttavia fa riflettere. Anche le dichiarazioni d’amore, sia pur sconvenienti come quella di un professore all’allieva, devono essere annoverate nella categoria delle offese, delle molestie, della mancanza di rispetto? E qual è allora il limite tra il corteggiamento e il mobbing? La studentessa, pur se lecitamente indignata, ha in pratica messo alla gogna un uomo colpevole solo di averle confessato di essere innamorato e ha fatto sì che il suo atteggiamento venisse bollato come “immorale”. Ma cosa c’è di immorale in un biglietto d’amore? Di questo passo, allora, c’è il rischio di degradare ancor di più i rapporti “di genere”. O asettici o configurabili come reato. A rimetterci però è solo il buon senso. In altri tempi i docenti innamorati perdutamente ispiravano capolavori come “L’angelo azzurro” di Heinrich Mann, un romanzo che evidentemente a Urbino non è molto apprezzato…