Schiaffo a Obama, no al “controllo” delle armi. Neanche le stragi smuovono le lobby
Schiaffo a Obama ma soprattutto ai familiari delle troppe vittime di stragi. Il presidente Usa è furente con il Senato dopo la bocciatura dell’attesissima riforma sul controllo delle armi. Una decisione che grida vendetta. «Oggi è una giornata vergognosa per Washington. Ma non è finita qui. La mia amministrazione farà di tutto per proteggere la nostra comunità dalla violenza delle armi». Teso in volto, Barack Obama contiene a stento la sua rabbia, parlando dal Giardino delle Rose della Casa Bianca, circondato da una decina di genitori delle piccole vittime della strage di Newtown perpetrata con armi che, nella maggior parte Paesi occidentali, sono esclusivo appannaggio delle Forze armate. Al suo fianco il vice Joe Biden e Gabrielle Giffords, l’ex parlamentare democratica sopravvissuta alla strage di Tucson. E da allora in prima linea per nuove regole contro le armi facili. Era una legge chiave su cui il presidente fondava la sua “missione” per questo secondo mandato. i tempi sembravano maturi per u svolta nel rapporto tra l’America e le armi. Delle 20 maggiori stragi di civili compiute da altri civili con armi da fuoco negli ultimi 50 anni, oltre la metà (11) sono avvenute negli Stati Uniti. Di queste, sei hanno avuto luogo negli ultimi 8 anni, da quando – era il 2004 – l’amministrazione Bush fece cadere il bando alla vendita dei fucili semiautomatici introdotto dal precedente governo Clinton. La progressione è chiara, i nessi causali anche. Ha vinto la lobby delle armi, esclama senza mezzi termini il presidente. Il primo a parlare dopo la sconfitta è un padre di uno dei bimbi maciullati dalla follia omicida di Adam Lanza, lo scorso 14 dicembre nella scuola elementare Sandy Hook. Assieme ad altri genitori hanno passato le ultime giornale a Capitol Hill, a mo’ di lobbisti per convincere i senatori incerti a votare sì alla riforma. «Torniamo a casa delusi ma non sconfitti. Determinati a capovolgere quello che è successo oggi. Andremo avanti». Quindi il presidente affronta subito di petto il voto del Congresso: «Pochi minuti fa una minoranza del Senato, distorcendo le regole, è riuscita a bloccare un accordo di compromesso di senso comune sull’estensione dei controlli, condivisa dal 90% degli americani». Il colpo è duro da digerire. Sulla riforma ha pesato l’opinione delle lobby, impegnate in una vera e propria campagna pro armi. I produttori hanno cercato di far sentire il proprio peso in tutti i modi, soprattutto cercando di coinvolgere la platea dei più giovani, con spot mirati che invitavano ad avvicinarsi al mondo delle armi da fuoco. Le avvisaglie della fumata nera c’erano. «Purtroppo oggi non avremo i voti per far passare la nostra proposta», aveva ammesso amareggiato Joe Manchin, il senatore democratico che assieme al suo collega repubblicano, Pat Toomey era riuscito a mettere nero su bianco un compromesso sull’estensione dei controlli ai compratori delle armi. Era già nell’aria che molti senatori repubblicani, che la settimana scorsa avevano voltato le spalle al partito permettendo il dibattito in aula, avrebbero cambiato idea. Il sindaco di New York, Michel Bloomberg, da sempre impegnato contro l’utilizzo incontrollato delle armi negli Stati Uniti, è stato durissimo. «Molti senatori hanno pensato a proteggere la loro carriera non i cittadini».