Rispunta Occhetto e rimpiange il vecchio Pci. «Il Pd non ce la fa, troppi democristiani»
Se Cirino Pomicino parla con entusiasmo di ritorno alla splendente Prima repubblica, facendo storcere il naso anche i più convinti fan del governo Letta, Achille Occhetto rispolvera la formula del manuale Cencelli, per denigrarla s’intende. «Non mettiamoci a fare il manuale Cencelli degli ex Pci e degli ex Dc, ma il fatto stesso che venga sollevata la questione è la prova provata del fallimento del Pd: una fusione a freddo, una mancata contaminazione delle culture e delle storie di origine». Il punto non è l’errore di aver applicato il sudoku dei tempi andati per distribuire le caselle di potere tra i diversi convitati, ma lo scolorirsi, la fine, dello smalto post-comunista. Intervistato da Repubblica, il vecchio Akel (chiamato così dal papà in onore di uno scopritore danese del Mar Glaciale artico), l’ultimo segretario comunista che di illusioni e sconfitte se ne intende, ragiona sulla squadra di governo a partire dal salto generazionale e dalle casacche dei ministri. A lui interessa la sinistra, ovviamente, e soffre apertamente della prevalenza dell’anima democristiana su quella comunista. In questo è più avanti (o indietro, fate voi) di Sel alla quale ha aderito nel 2009. «C’è un male oscuro che divora la sinistra: ha rotto con l’atto costitutivo della svolta che io lanciai dopo la caduta del Muro…». C’erano due modi per uscire dall’impasse (che si chiama fallimento storico del comunismo, ma Achille non lo dice):uno legato al socialismo europeo e l’altro al moderatismo, «purtroppo» ha vinto il secondo. «Gli ex Pci hanno abdicato», dice il generale della gioiosa macchina da guerra che si sfracellò, «il Pd non riesce a rappresentare la sinistra. Il Pd è nato sotto un segno conservatore». Abdicare: il titolo dell’intervista è fatto. Non sarà, chiede l’intervistatore, che una certa idea di sinistra è ormai vecchia? «La domanda di sinistra nella nostra società è molto forte e presente – risponde – anche in modo scomposto, disordinato, anarcoide, il che può essere un male ma anche un bene: ha bisogno di rappresentanza». Non parla di Grillo, ma pensa a lui, e rimpiange la non elezione di Prodi al Colle, democristiano sì, ma illuminato e aperto ai Cinquestelle. Morale: il partito arranca e Occhetto non fa differenza tra elefanti e rottamatori, tra Bersani e Orfini, tra Bindi e Renzi. E se da Palazzo del Nazareno non esce nulla di buono, «serve una costituente per un nuovo partito democratico, ci sono molte forze di sinistra prigioniere nel Pd». Peccato, è troppo anziano politicamente, un po’ Cassandra (prevede che il rapporto fra Pd e Pdl andrà a rotoli), altrimenti potrebbe essere il “nuovo” candidato made in Pci alla segreteria democratica.