Prima il governo, poi il voto. Con una nuova legge elettorale
Una paginetta redatta da Alessandra Ghisleri sta scuotendo il Pdl. In sostanza dice che se si votasse a ridosso dell’estate, dunque con la vigente legge elettorale, Renzi sarebbe avanti di dieci punti. La casa brucia, secondo Alfano, e non gli si può dare torto. Ma se con essa andassero in fumo anche le speranze del centrodestra di rivincere le elezioni, sarebbe ancora più grave.
Dunque, i cosiddetti “falchi” del Pdl, abbacinati dagli infortuni del Pd, che non vedono l’ora di riaprire la campagna elettorale, dovrebbero ragionare in maniera più fredda anche se un motivo di consolazione lo hanno comunque: secondo lo stesso report, Beppe Grillo scenderebbe al 15%. E questa è una buona notizia.
Ci permettiamo un consiglio non richiesto. Alfano affronti con la necessaria calma la situazione valutando più gli elementi contrari alle elezioni immediate che i presunti vantaggi che potrebbero derivare dal loro esito. Se, al momento, il Pd è un partito lacerato ma non in disarmo, è probabile che mettendo in campo Renzi – che personalmente reputo sopravvalutato – si affermi un nuovo “spirito di corpo” sostenuto dall’indiscutibile stato di necessità. Con Grillo in caduta libera il gioco diventerebbe più facile. Allora al Pdl non rimane, a giudizio di chi scrive, che la possibilità di giocare la partita in tre mosse: agevolare il varo di un governo di scopo, dunque a termine; riformare la legge elettorale; varare un paio di provvedimenti che contribuiscano ad allontanare il possibile aggrvamento della crisi, come la restituzione delle risorse alle imprese e agli enti locali. Poi il voto.
So che nel Pdl non si vede di buon occhio il ritorno al Mattarellim, ipotizzato addirittura con il ricorso al decreto legge che sarebbe una indubbia forzatura costituzionale, posto che la materia è esclusivamente di competenza parlamentare. Mi chi chiedo, tuttavia, quale sia il motivo di tanta ostilità. Di fronte al Porcellum che inenarrabili guai (a cominciare dall’ingovernabilità) ha provocato, il vecchio sistema abbandonato favorirebbe certamente una più oculata scelta dei candidati poiché battendosi nei collegi dovrebbero avere le credenziali per vincere. Inutile lamentarsi del Parlamento dei “nominati” se poi non si ricorre alle migliori risorse a diposizione in grado di battere avversari altrettanto agguerriti. Per di più si salverebbe il principio della rappresentanza partitica, con quel famoso 25% di eletti, favorendo la costituzione di un Parlamento organico e politicamente più consapevole.
Ma anche il doppio turno di collegio non sarebbe male, nonostante sia più complicato da attuare per via delle molte resistenze che incontrerebbe.
Comunque sia, la sola cosa da fare è rivedere i meccanismi elettorali e poi tornare al voto. Ecco perché le larghe intese sarebbero utili allo scopo, mentre aver accettato l’incomprensibile escamotage quirinalizio della nomina di due commissioni di saggi deputate a scrivere i punti di compromesso tra le forze politiche significa – non solo per il Pdl – aver avallato il commissariamento commissariamento politico della democrazia: un altro ancora.
Si tolga di mezzo questa roba e si riprendano le consultazioni, dunque. Alla fine qualcosa verrà fuori soprattutto se il Pd si renderà conto che non gli conviene tirare troppo la corda e restare impiccato all’albero che Bersani ha con tanta cura coltivato.
La casa brucia, indubbiamente. È tempo che si trovino gli estintori adeguati. Ogni errore potrebbe essere fatale. Soprattutto al centrodestra che ha a portata di mano la sola rimonta che conta: la conquista del governo del Paese. Ma ci vuole pazienza, intelligenza politica, visione d’insieme.