Nell’aula di Montecitorio è mancato il pudore del silenzio
Il pudore del silenzio. È quello che è mancato nell’aula di Montecitorio quando, con tono fermo e parole taglienti, Giorgio Napolitano ha bacchettato una classe politica che si è finora mostrata “sorda”, “inconcludente”, “irresponsabile”, “rissosa”. Insomma, incapace di comprendere fino in fondo la gravità della situazione in cui versa il Paese e di trarne le conseguenze dopo che dalla urne è venuto fuori un quadro di assoluta ingovernabilità. Non diciamo che il discorso del Presidente della Repubblica non meritasse gli applausi che gran parte dell’emiciclo gli ha riservato. Tutt’altro. Il Capo dello Stato ha offerto una lezione di alta dirittura istituzionale e di dura analisi politica. Non si è nascosto dietro le parole. Al contrario ha scandito ogni passaggio del suo discorso con assoluta lucidità e ossequio alla forma ed alla sostanza della politica vera ed alta.
La politica che è dialogo e anche compromesso. Impegno, passione ed assunzione di responsabilità. Tutela e valorizzazione dell’interesse comune. Un mix di elementi valoriali e comportamentali purtroppo appannato dalla mistica della difesa del “particolare”, della propria bottega di partito, nella fallace convinzione che questo salvi da una crisi ormai evidente e , per certi versi, irreversibile. Una lezione a tutto tondo, dunque, quella di Napolitano. Ma anche una sferzata, uno schiaffo rivolto all’intera classe dirigente del Paese. Avrei trovato certamente più consono e decoroso da parte dei parlamentari un atteggiamento meno plaudente nelle parti che più di altre li riguardava , riservando, semmai, alla fine del discorso il giusto tributo al saggio del Colle. Invece, si è data la sensazione di un moto liberatorio e autoassolvente.
E’ lecito chiedersi, dopo tante manifestazioni di giubilo nei confronti di chi li ha tolti dalla palude maleodorante nella quale stavano annaspando, se lor signori saranno all’altezza del guanto di sfida che il Capo dello Stato non ha esitato a lanciare. Vedremo. Certo è che il rinnovo della carica di Presidente nella figura di Napolitano, oltre che un dato storico in quanto finora inedito nella vita repubblicana, presenta risvolti che le forze politiche dovrebbero quanto prima approfondire.
Siamo passati in poco più di un anno e mezzo da una situazione emergenziale all’altra. Da una democrazia “sospesa” per effetto del varo di un governo dei tecnici promosso dal Capo dello Stato a un prossimo governo che ,con ogni probabilità, sarà un misto di governo dei tecnici e dei politici, ma anch’esso di diretta emanazione del Capo dello Stato. Insomma, la si può mettere in mille modi, ma la sostanza è di una Repubblica “commissariata”, dove il Commissario coincide con la figura del Presidente della Repubblica. Qualcosa di diverso, va detto con assoluta oggettività, dalla Repubblica parlamentare per come si è venuta definendo dal dopoguerra in poi.
Non era mai accaduto in passato che il ruolo e la funzione del Capo dello Stato, per oggettive ragioni, assumessero una pervasività ed una carica decidente così spiccata e così fortemente legittimata dalla insipienza ed inconcludenza delle forze politiche in campo. Va detto che il Pd è stato artefice del disastro, causa la scellerata ed arrogante gestione del dopo-voto da parte che ne ha decretato la frantumazione e lo spappolamento. Ora pensare che tutto questo non lasci un segno o possa rappresentare una parentesi sarebbe un ennesimo, grossolano errore.
Se si vuole – ecco il punto di dibattito dal quale muovere – superare lo stato di “commissariamento” in atto non c’è altra strada da imboccare che quella di dar vita ad una Repubblica Presidenziale a tutto tondo. Dove siano i cittadini a scegliere direttamente il Capo dello Stato, cui affidare ruolo di governo lasciando al Parlamento funzioni legislative e di controllo, atti a bilanciare il sistema dei poteri in gioco.
L’alternativa al presidenzialismo potrebbe essere, secondo le varie scuole di pensiero e secondo i gusti, il semipresidenzialismo alla francese. C’è spazio, è ovvio, per una riflessione più appropriata sui due sistemi già sperimentati in altre democrazie. Quel che preme sottolineare in questa sede è l’assoluta necessità di superare gli steccati, rompere gli argini che finora hanno impedito la rigenerazione del nostro assetto costituzionale. L’immobilismo, su questo versante, come si è visto non paga . È, anzi, dannoso. La rinascita della politica passa anche attraverso il rilancio di idee che, soprattutto a destra (ma non solo a destra) hanno albergato per tanto tempo. Averle accantonate ci ha fatto entrare nel tunnel dell’indistinto.