L’epopea di Radio Alternativa: la creatura di Teo per bucare il ghetto

24 Apr 2013 10:47 - di Gloria Sabatini

Passione, fatica, goliardia e quella voglia disperata di farsi ascoltare e ascoltare, di bucare il ghetto. Di aprire la narrazione della destra, da destra. Per tutti. Era il 1976 quando Teodoro Buontempo “occupa” a Roma la sede di via Sommacampagna  del Fronte della Gioventù per mettere in piedi Radio Alternativa. Mezzi di fortuna, insonorizzazione casareccia, l’antenna (due tubi, come ricorda Ruggero Bianchi coinvolto nell’avventura) aggrappata a Monte Cavo, un trasmettitore militare riadattato. «Venne da me, mi raccontò la sua idea e io gli feci un assegno di 170mila lire, non poche per l’epoca», racconta Bianchi, voce inconfondibile dell’emittente, insieme a Marina. La prima frequenza fu 100.00 MegaHertz, poi passò su 96. Se non fosse stato per la caparbia volontà di Teo, che si indebitò per il resto della sua vita e fece firmare montagne di cambiali agli amici, a Roma sarebbe mancato uno dei laboratori più significativi della politica in quegli anni difficilissimi. «Eravamo un gruppo di amici, allora ci chiamavamo camerati, fino a notte fonda a condurre le trasmissioni e poi la mattina in cantiere. La nostra voce arrivò fino in Libano dove ci ascoltavano prima dell’attentato a Gemayel». Una volta – racconta –  uscendo tardissimo dal portone vediamo un furgone blu davanti alla sede, in un secondo ho pensato ora la portiera si apre e ci sparano, per fortuna non successe nulla… Un’esperienza irripetibile, un ponte tra una comunità politica e umana “cancellata” e gli altri. Una radio libera, pensata come strumento di comunicazione con la gente normale, non un megafono per “pochi, felici pochi”.

Siamo a metà degli anni ’70 quando iniziano a spuntare in Italia le prime emittenti libere “autorizzate” per mettere fine al monopolio delle grandi. A Roma nasce Radio Gamma, al Salario, poi Radio Contro. Poi Radio Alternativa. In “redazione”, Teo, la moglie e un gruppo di amici, si campa con le sottoscrizioni volontarie. L’esperimento pioniere funziona –  come descrive Stefano Dak nel suo bel libro Libere! L’epopea delle radio italiane negli anni ’70 – e la frequenza si estende a buona parte del Lazio. A Somma si fa una radio di parola, molte rassegne stampa, filo diretto con gli ascoltatori (non solo i fasci): casalinghe, operai, gruppi di fabbrica. La musica, alternativa anch’essa, arriva dopo. Dopo aver conquistato il Lazio la creatura der Pecora “espatria”: Buontempo si improvvisa consulente tecnico e legale di altre radio sparse per l’Italia a nome di una destra rivoluzionaria che vuole abbattere il monopolio lottizzato e distinguersi dalla miriade di radio commerciali legate a gruppi di potere. «Riprendiamoci i mass media – ricorda Dak – era la parola d’ordine. Vissuta come una militanza quotidiana, da Roma Radio Alternativa sbarca a Messina, Sassari, Cagliari. A Milano negli stessi anni c’era Radio University». Ma Teo ha il merito storico di aver fatto da apripista. Sigaretta sempre in bocca (molto spesso “prestata” da chiunque gli capitasse a tiro), diventa presto l’anima di decine di iniziative, mette in rete migliaia di militanti,  diffondendo le note misconosciute dei gruppi di musica alternativa. Siamo negli anni in cui la comunicazione di destra è impensabile, i missini (giovani e attempati) sono topi di fogna, il senso di solitudine, la cultura della riserva indiana, subìta e accettata, sembra prendere il sopravvento. Teodoro e la sua radio furono la prima rivincita. Nella prefazione al libro di Dark Umberto Croppi ricorda un episodio emblematico. Partito militare nell’agosto dell’Ottanta, quindici giorni dopo la strage di Bologna, una notte sente nella camerata suonare Il domani appartiene a noi. «Salto giù dalla branda e corro vicino al tipo che tiene la radio accesa e capisco che si tratta di Radio Alternativa. Gli chiedo con circospezione come mai ascolti quella radio e mi risponde candido “«perché se pija bene”. Tempo dopo mi raccontano di uno spettacolo teatrale, sempre a Roma, dove in scena c’è un salotto con persone che chiacchierano, la radio è accesa, a un certo punto uno interrompe la conversazione dicendo: «zitti un po’, c’è Teodoro».

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