La sinistra sapeva la verità: ma montò una campagna innocentista per fare fuggire i colpevoli

15 Apr 2013 21:36 - di Redazione

Brasile, Angola, Nicaragua, Svezia, Svizzera, Francia (e che Francia: Parigi), Spagna: i tre che la notte tra il 15 e il 16 aprile di quarant’anni fa dettero fuoco alla casa della famiglia Mattei perché “fascista”, hanno girato un bel po’ di nazioni prima di trovare pace. Da latitanti, aiutati dalla rete di solidarietà della sinistra che – pur sapendoli colpevoli, come è stato dimostrato – li protesse e li fiancheggiò. E questo spiega perché in  Italia la guerra civile non sia mai finita. I vertici non solo di Potere Operaio, ma di tutta la sinistra italiana scientemente produssero articoli, opuscoli di contro informazione, comunicati, interviste, sottoscrizioni, dichiarazioni, in cui si sosteneva la tesi della pista nera e l’innocenza di Lollo, Clavo e Grillo. Da ricordare “Primavalle: incendio a porte chiuse”, edizioni Savelli, che fu preparato da Potere Operaio e quattro giornalisti del Messaggero, in cui si sosteneva la falsa tesi della pista nera, e che certamente influenzò il giudizio. Che furono aiutati in tutti i modi: con soldi, passaporti, documenti, complicità e persino con una guida che portò Clavo e Grillo su un sentiero di contrabbandieri per arrivare in Svizzera. Sarebbe avventuroso, se non ci fosse di mezzo la morte di un bambino e di un giovane che si affacciava alla vita. Achille Lollo è l’unico che ha fatto un po’ di galera, perché fu preso all’indomani della strage. Gli altri due fuggirono poco dopo. Ma perché non fu possibile arrestarli tutti? Semplicemente perché la condanna definitiva fu pronunciata dalla cassazione nell’ottobre del 1987, e l’ordine di esecuzione due anni dopo. Sedici anni dopo il fatto. A quel punto i tre erano tutti lontani. Lollo prima in Angola e poi in Brasile, dove ha fatti l’editore, il giornalista, ha moglie e quattro figli. Grillo prima in Svizzera, poi a Parigi, poi in Svezia e infine in Nicaragua, a Managua, dove divenne un protagonista del sandinismo e dove ora gestisce un ristorante con il nome di Christian De Seta. Il terzo, quello di cui si sa di meno, Clavo, si rifugiò dapprima in un casolare in Toscana dove fu raggiunto da uno dei capi di Potere Operaio, Morucci, che pistola alla mano lo costrinse a dire la verità sulla strage dei Mattei, poi in Svizzera anche lui, poi in Svezia, poi in Spagna, dove ancora dovrebbe risiedere, protetto dalla legge anti-estradizione poiché ha ottenuto la cittadinanza spagnola. Nel 1995 l’Italia ci riprovò, ma le autorità spagnole non risposero né dettero seguito alla richiesta. E oramai è tardi per tutto, perché la corte d’appello d’assise di Roma tre anni fa ha dichiarato estinte per prescrizione le condanne dei tre, in quanto l’articolo 172 del codice penale dice che la pena si estingue dopo un tempo pari al doppio della pena inflitta. Nel 2005 Lollo dal Brasile – dove era iscritto e attivista del partito di Lula – chiamò in causa gli attivisti di Potop Paolo Gaeta, figlio di un noto avvocato, che oggi gestisce un’enoteca sulle colline senesi, Diana Perrone, nipote di Sandro Perrone e di Ferdinando, comproprietari del Messaggero, che ora si occupa di cultura e ha persino lavorato con il comune di Roma targato Rutelli, ed Elisabetta Lecco, al tempo fidanzata di Clavo, che a un certo punto andò pure in Svezia per consegnare dei soldi ai latitanti. In seguito alle confessioni di Lollo, che in quella circostanza per la prima volta ammise che la strage era opera di Potere Operaio, la Procura di Roma aprì un’inchiesta per strage per Gaeta, Perrone e Lecco, ma alcuni mesi dopo la archiviò per impossibilità di eseguire la rogatoria: ossia, perché impossibile avere conferme dai testimoni. Anche Potere Operaio, dopo un congresso semiclandestino in Veneto, nel giugno 1973, si sciolse come gruppo organizzato e molti suoi militanti passarono alla lotta armata. Dopo le rivelazioni di Lollo, Grillo dal Nicaragua fece sapere che erano solo loro tre quella notte a Primavalle, ma Lanfranco Pace, uno dei capi di Potop, disse all’Ansa che tra i “compagni” si sapeva che insieme a Lollo, Clavo e Grillo c’erano altre persone. Ancora Pace nel libro “La generazione degli anni perduti” (Einaudi): «Fummo costretti ad assumerne l’autodifesa nonostante la loro colpevolezza e così montammo una controinchiesta che che ebbe l’effetto di farli assolvere in primo grado». La campagna innocentista scatenò i violenti anche nel corso dei processi per la strage di Primavalle, e in uno di questi tafferugli scatenati dalle sinistre morì lo studente del Fuan Mikis Mantakas, ucciso da Alvaro Lojacono, amico e compagno di Lollo, che fu condannato a 16 anni ma che non scontò mai. È in Svizzera.

a.p.

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