Il magistrato che ha scelto il suicidio assistito lasciò la toga dopo le accuse di De Magistris

13 Apr 2013 14:42 - di Redazione

«Pensavamo che fosse partito per i uno dei suoi soliti viaggi in auto. Lo faceva spesso soprattutto da quando tre anni fa aveva lasciato la magistratura dopo essere stato coinvolto in una vicenda giudiziaria dalla quale era uscito totalmente indenne». A raccontarlo è il cugino di Pietro D’Amico, l’ex magistrato calabrese,  morto in una clinica di Basilea, in Svizzera, dove gli è stato praticato il suicidio assistito. La notizia è riportata stamane dalla Gazzetta del Sud. D’Amico, 62 anni, di Vibo Valentia, è uscito dalla magistratura dopo un’inchiesta giudiziaria iniziata nel 2008, denominata Poseidone, che era stata il trampolino di lancio mediatico di Luigi De Magistris. L’ex sostituto procuratore generale venne accusato da De Magistris di essere una talpa. Secondo l’attuale sindaco di Napoli aveva avvertito un indagato di un’imminente perquisizione. Nel 2011 l’intera inchiesta, che verteva sugli impianti di depurazione in Calabria e che vedeva coinvolti altri sei magistrati della Procura di Catanzaro, venne cestinata causa «l’insussistenza della notizia di reato».

Oggi i familiari di D’Amico hanno ricevuto la notizia della morte del congiunto attraverso una telefonata della direzione della struttura sanitaria elvetica. D’Amico aveva deciso di sottoporsi al suicidio assistito in piena lucidità scegliendo a tale scopo la struttura sanitaria in Svizzera, dove poi è morto. Il suo ultimo incarico lo aveva svolto alla Procura generale di Catanzaro in qualità di sostituto procuratore. Negli anni scorsi era stato indagato insieme ad altri magistrati dalla Procura di Salerno per una fuga di notizia per la perquisizione di un parlamentare nell’ambito dell’inchiesta Poseidone sui presunti illeciti nella gestione dei fondi per la depurazione. D’Amico era stato poi prosciolto ma aveva deciso di abbandonare la toga commentando che «questa magistratura non mi merita». La notizia ha lasciato attoniti i parenti. «Non riusciamo a spiegarci – dice il cugino dell’ex magistrato, Pietro Giamborino – come sia stato possibile che nessuno dalla clinica di Basilea ci abbia avvertito della volontà di morire espressa da Pietro. Possibile che una semplice volontà di morire possa fare scattare la procedura del suicidio assistito? Stiamo valutando se agire legalmente nei confronti di chi lo ha aiutato a morire».

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