Il coro per Emma Bonino presidente. Ma siamo sicuri che sia la migliore?
Se dev’essere donna, la nuova inquilina del Quirinale, dovrà essere Emma Bonino. Per lo strano effetto di quelle che possiamo chiamare notizie circolari la certezza rimbalza dalla politica ai media e da questi ultimi alla politica. Se ne parla tanto, troppo, di Emma. Piace ad alcune parlamentari del Pdl (Carfagna e Biancofiore) e piace anche a quella sinistra che nella sfida contro Renata Polverini non ebbe il coraggio di supportarla in modo adeguato (è stata sempre Emma a denunciare la timidezza dei “compagni”). Piace meno ai cattolici, lei che è una paladina di soluzioni estreme come l’aborto e l’eutanasia. Eppure sembra che in Italia se dici donna dici Emma. La Bonino è dunque, lei che proviene dalle file trasgressive dei radicali italiani, ormai mummificata nel luogo comune, distillato dalla retorica sulle quote rosa, che pure Emma non ama per nulla spingendosi fino a dire che la festa dell’8 marzo poteva pure essere abolita per quanto la riguardava.
È invecchiata a fianco di Pannella, il vero volto-simbolo dei radicali (e se un riconoscimento a questa pattuglia di libertari va dato perché non darlo a Marco Pannella, con la nomina a senatore a vita?) e rischia di essere spodestata dall’afflato antipartitocratico dei grillini divenuti ormai sicuramente più trendy dei radicali nel puntare l’indice contro abusi e sprechi. Lo diciamo senza offesa ma il suo nome è legato a battaglie che risalgono agli anni Settanta. E dopo? È vero, ha conseguito lo storico risultato dell’8,5% alle europee del 1999 quando la lista dei radicali portava il suo nome. Un patrimonio di consensi dilapidato. E lei ne è così consapevole che alle ultime elezioni si è domandata, con un certa dose di schietto coraggio, se ci fosse ancora spazio in Italia per l’offerta politica dei radicali.
In quanto radicale Emma Bonino è un’esponente della democrazia della denuncia e del controllo e al vertice delle istituzioni forse ci starebbe persino a disagio. Certe sue spigolosità la rendono indigesta alla sinistra (si pensi all’occidentalismo spinto dei radicali che stride con l’antimilitatarismo pacifista e con la simpatia per la causa pelestinese) e il suo passato di agguerrita abortista la rendono poco compatibile con la destra. Una parte politica cui lei del resto guarda con sufficiente distacco e avversione, basti ricordare il suo reciso no all’idea di un’alleanza con il centrodestra alle ultime regionali nel Lazio. Senza dimenticare che fu proprio lei, voluta da Berlusconi come commissario europeo, a bollare l’ex premier come un uomo volgare e ossessionato dal sesso. Certo, è competente. Certo, mostra di avere un pensiero autonomo. Certo, ha carattere. Certo, dà l’idea di non avere dietro un tutor maschile. In pratica è come dovrebbero essere tutte le donne in politica. Ma possono bastare i demeriti delle altre per consacrare lei come la migliore?