Tutti i veleni del cibo trash: le droghe alimentari ci rendono dipendenti…

29 Mar 2013 12:18 - di Priscilla Del Ninno

In un mondo che omaggia la dottrina dell’ecosostenibile e le politiche di biocompatibilità, paradossalmente i giganti dell’alimentazione globalizzano un sistema nutrizionale fondato sui cibi trash. Così, mentre sottobanco dilaga una sottocultura della cucina “insana” e i guadagni delle industrie fast food crescono esponenzialmente, di pari passo aumentano la tendenza all’ipertensione e l’incidenza di malattie cardiovascolari: è la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità che, in rapporti ciclici e sempre più allarmanti, ammonisce sui rischi legati alla malnutrizione, la cui prima conseguenza è naturalmente il rischio di un’epidemia di obesità.

L’editoria di settore non si sottrae al confronto con la gustosa materia: e tra demonizzazioni culinarie e peana salutisti, tra le righe di ricette tradizionali e sperimentazioni dietologiche, le note a piè di pagina rimandano a un odioso sospetto: c’è davvero una cospirazione dietro il virus in via di endemizzazione della cucina appetibile ma nefasta per la salute? Davvero i colossi dell’alimentazione distribuiscono in maniera massiccia ma capillare prodotti a base di sostanze che creano dipendenza? Sotto inchiesta, naturalmente, principalmente le multinazionali a stelle e strisce. A mettere sul piatto della bilancia pesi industriali e possibili contromisure etiche, un libro-inchiesta firmato dal Premio Pulitzer e reporter del New York Times, Michael Moss, intitolato Sale Zucchero Grassi. Come i giganti del cibo ci hanno agganciato, Random House.

Una colossale indagine strutturata su oltre trecento interviste con persone che lavorano a vari livelli nell’industria, da dirigenti a responsabili del marketing, chimici e scienziati, prendendo in esame dalla Coca Cola alla Pepsi, alla Kraft, di tutto un po’. E tra domande scomode e risposte di comodo, un quesito aleggia di pagina in pagina: le multinazionali del cibo sono sotto il ricatto di Wall Street? Al di là delle ipotesi complottiste enucleate nel saggio di Moss, e dei possibili scenari geo-politici ad esse correlati, quel che è certo è che la civiltà del gusto scardinata dal culto massificato dell’alimentazione fast and trash, sta via via cedendo alle lusinghe del malsano. Alla tentazione di alimenti grassi e zuccherati, prodotti su vasta scala e che a detta di medici e nutrizionisti, in virtù di dannosi principi di sofisticazione e di processi di trasformazione a cui sono sottoposti,  depotenziano pericolosamente i  nutrienti intrinseci, creando dipendenza ed assuefazione quanto le droghe.

E allora, tra corsi e ricorsi gastronomici, mentre tra necessità e virtù ritorna in auge la cucina casalinga “fai da te”, costantemente minacciata dalla convenienza economica del cibo pronto e surgelato, la sfida in atto è una sola: come ovviare a carenze e lacune dell’educazione alimentare? E quindi, come migliorare il profilo nutrizionale preservando il sapore? E ancora, come vincere i condizionamenti legati al bombardamento mediatico? Gli interrogativi, che partono dalla cucina e approdano negli studi tv – sempre più impegnati a spadellare e sperimentare – rimbalzano sul web speziando una polemica che divide il mondo dei consumatori.

 

 

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