Quando lei uccide lei. È sempre femminicidio?
Un fattaccio di cronaca nera. Un classico “delitto passionale” nel linguaggio un po’ vetusto dei carabinieri. Ma stavolta non c’è un lui che ammazza una lei. C’è una lei che ammazza un’altra lei. Anche se il movente, la gelosia, è quello che sta alla base di questo come di molti altri omicidi che coinvolgono le donne. È accaduto a Brescia, dove Angela Toni, 35 anni, ha ucciso la compagna Marilena Ciofalo, un anno più giovane, sparandole due colpi alla testa mentre dormiva. Marilena voleva lasciare Angela. La coppia non funzionava più. Marilena va ad aggiungersi alla lista delle donne uccise dai partner (i femminicidi sono stati 124 nel 2012) eppure la parola femminicidio viene accuratamente evitata dai media nel riferire della tragedia di Brescia. Come mai? Forse perché non c’è di mezzo un maschio violento, prevaricatore, uno stalker persecutore, insomma un figuro che possa condensare su di sé tutto il “male” di genere. E allora anche il linguaggio si piega ai condizionamenti psicologici. Il femminicidio passa in second’ordine, si torna al vecchio canone del dramma della gelosia. Eppure c’è una donna ammazzata, ma per mano di un’altra donna, spinta all’assassinio dalle stesse dinamiche che rendono gli uomini folli, furenti e pericolosi. Su twitter è il giornalista Riccardo Chiaberge a lanciare la provocazione chiedendo: “Quando una donna uccide un’altra donna per passione, per gelosia, è femminicidio? E adesso, linciatemi”. Le contraddizioni del linguaggio, in effetti, sono sempre le più pericolose.