Letta manda in pensione Bersani e apre a un governo del presidente. La farsa dei veti anti-Pdl (forse) è finita

29 Mar 2013 20:22 - di Luca Maurelli

Il Pd s’è arreso, ma Bersani non ha voluto mettere la faccia sotto la bandiera bianca. In delegazione da Napolitano sono saliti il suo vice, Enrico Letta, e i capigruppo Zanda e Speranza, imbarazzati, seri, con le mani giunte, quasi in preghiera, mentre snocciolavano il de profundis del segretario. È arrivata così l’archiviazione della stagione politica dell’uomo che voleva smacchiare giaguari e inseguire grillini. Senza mai citare il Pdl, Letta ha lasciato intendere che il Pd voterà un governo del presidente con un nome indicato da Napolitano, per dare inizio alla legislatura con voto da ricercare, in modo bipartisan, in Parlamento. Anche col Pdl, of course. In sintesi, se da un lato Letta dice che nessuna ipotesi di “governissimo” è possibile, dall’altro si piega alla logica della “grosse koalition”, quella chiesta fin dall’inizio da Berlusconi e da subito apparsa ai più ragionevoli commentatori, l’unica strada per uscire dal vicolo cieco in cui s’è cacciata la politica italiana. Il Pd, al termine dell’incontro con Napolitano, gli conferma “fiducia piena e profonda gratitudine”. «Non mancherà il nostro supporto responsabile alle decisioni che prenderà», è la frase chiave del discorso ambiguo, fumoso, in politichese, di Enrico Letta, proteso nella sforzo di far digerire ai propri elettori il fallimento del tentativo di Bersani e la necessità di dare un governo al Paese, anche a costo di votare col giaguaro. Il resto è fuffa. Come la proposta, anche questa non nuova, di una convenzione costituente, “con il coinvolgimento di tutti dentro a un percorso di riforme istituzionali”. «Quello era ed è il luogo in cui deve avvenire la legittimazione reciproca», spiega Letta, si spera anche in riferimento al tema degli “impresentabili”. Ma da oggi c’è un uomo non più al comando del Pd: è Pierluigi Bersani, che ora subirà l’assalto dei renziani e i riposizionamenti dei suoi. Colpa di Grillo? «Troppi no ascoltati nei giorni scorsi, a cui si aggiungono i no di stamattina, e cioé no a un governo istituzionale o a un governo del presidente, oltre a quelli ascoltati nelle consultazioni, rischiano di negare quel cambiamento», dice Letta, riferendosi evidentemente ai Cinque Stelle. Che ora, come aveva sottolineato Grillo, dal loro punto di vista incassano la prima vittoria: il siluramento di Bersani. Ora a Napolitano – che si è preso una “pausa di riflessione” – il compito di trovare un nome che piaccia a destra e a sinistra e che non piaccia a Grillo, altrimenti quello si arrabbia pure. Cancellieri? Lo sapremo presto, forse prima della pastiera o subito dopo Le déjeuner sur l’herbe di Pasquetta.

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