La giustizia italiana? Scandalosa anche quando concede sconti per il rogo Thyssen…
I problemi della giustizia, e le polemiche che ne conseguono, non riguardano solo Berlusconi e le inchieste in cui vengono investiti uomini e mezzi delle procure italiane. In Italia sono sempre più frequenti sentenze abnormi che provocano la reazioni indignata di comuni cittadini, com’è accaduto a Torino, dove per la rabbia i familiari delle vittime del rogo della Thyssen e i loro ex colleghi hanno occupato per quattro ore la maxi-aula del tribunale per protestare contro una decisione che ritengono ingiusta. Quella emessa dalla Corte di appello torinese è infatti una decisione che fa già discutere: i giudici non hanno riconosciuto l’omicidio volontario per la morte di sette operai ai vertici della multinazionale dell’acciaio finita. I magistrati hanno quindi deciso che non ci fu dolo e, riformando la sentenza di primo grado, hanno condannato l’ex amministratore delegato della multinazionale dell’acciaio Harald Espenhahn a dieci anni per la morte dei sette operai che lavoravano alla linea 5 la notte del 6 dicembre 2007. In primo grado era stato condannato a sedici anni e sei mesi di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale. Era stata la prima condanna per omicidio volontario in Italia nei confronti di un imprenditore. Ora non è più così. Pene fino a nove anni sono state inflitte agli altri cinque dirigenti. Appena il presidente della Corte d’assise d’appello, Giangiacomo Sandrelli, ha pronunciato la sentenza, la maxiaula del tribunale è esplosa in un boato: «Fate schifo ci vuole la giustizia privata», «Maledetti!». «Il nuovo governo – ha gridato la sorella di Rosario Rodinò – adesso dica cosa vuole fare. Fanno schifo. Questa è una bomba ad orologeria. Volevo vedere se ci fossero stati i figli dei politici. Gli operai bruciati vivi non valgono niente». La Corte quindi non ha confermato la tesi dell’accusa sostenuta dai sostituti procuratori Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso. Il rogo che uccise sette operai non fu un evento imprevedibile, aveva sostenuto Guariniello. Secondo i pm, fu la conseguenza della scarsa preoccupazione nei confronti della sicurezza degli operai da parte della dirigenza. La fabbrica di Torino avrebbe chiuso pochi mesi dopo. Ma il giudice d’appello ha respinto questa tesi. Soddisfatta in parte la difesa, rappresentata da molti dei più noti avvocati torinesi come Cesare Zaccone, Franco Coppi, Ezio Audisio e Guido Alleva.