La politica ha perso un galantuomo
Vorrei veramente riuscire a esprimere onestamente quello che ho provato nell’apprendere della morte di Massimo Vannucci. Abbiamo lavorato insieme a lungo in commissione bilancio, un’attività che ti permette di approfondire la conoscenza con alcuni colleghi, cosa che altrimenti, dato il numero dei parlamentari, risulta difficile. In commissione ci si scambia opinioni sincere, non si fanno tanti interventi formali o di maniera e si parla di cose generalmente concrete. Vannucci, quando interveniva, aveva la semplicità di chi sa di cosa sta parlando. Niente verbosità, niente tecnicismi. Un parlamentare – come ce ne sono molti anche se non traspare – che aveva competenza ed esperienza. Uno che aveva fatto l’amministratore locale prima di arrivare a discettare di leggi dello Stato. Una persona assolutamente trasparente, tanto che a volte appariva ingenuo per quanto era onesto. E a questo valore dell’onestà intellettuale – non scontata in un politico – credo desse molta importanza. Quando rimisi il mandato di relatore di un provvedimento sul quale mi trovavo in dissenso con il governo che sostenevo, venne a stringermi la mano e – sia in commissione che in aula – mi espresse un riconoscimento per la mia “onestà intellettuale”. Un gesto gratuito e tutt’altro che scontato. Impossibile da dimenticare.