Il dramma della Fiat sulla coscienza di governo e Cgil
C’era una volta la Fiat che godeva di generose sovvenzioni da parte dello Stato e che nel 1980 – al momento della marcia dei quarantamila – dava lavoro a circa 137mila persone ed era la prima azienda italiana. Oggi il governo sembra essersi disinteressato dei problemi del gruppo automobilistico che, nel frattempo, ha ridotto i dipendenti a soli 25mila (più l’indotto). Abbiamo perso oltre quattro occupati su cinque, speso migliaia di miliardi delle vecchie lire e ancora denunciamo un surplus produttivo che potrebbe portare alla chiusura di due stabilimenti su cinque. Certo, c’è la crisi ma c’è anche qualche altra cosa che non funziona se, dopo due anni e mezzo, Marchionne si sta rimangiando il progetto di “Fabbrica Italia” che avrebbe dovuto produrre investimenti per 20 miliardi. Il Lingotto non investe, o investe poco, in innovazione e in nuovi modelli. E una parte del sindacato sembra non aver capito la drammaticità della situazione. Inoltre il governo, a differenza di quanto è stato fatto in Francia e negli Stati Uniti, ha lasciato Marchionne padrone del campo. Poi c’è la parte più “responsabile” del sindacato, che ha firmato l’intesa di Pomigliano consentendo investimenti per 800 milioni di euro, a cui non si può far perdere la faccia. La Fornero non può aspettare una telefonata di Marchionne, deve alzare la cornetta, chiamare la Fiat e farsi parte attiva perché finora l’esecutivo dei tecnici ha prodotto solo danni. Basti ricordare la tassa sulle auto di lusso che ha contribuito a ridurre le immatricolazioni facendo perdere all’azienda fatturato e guadagni, allo Stato entrate per Iva e mancato consumo di benzina, ai lavoratori opportunità occupazionali. Davvero “brillanti” le idee del governo Monti. Roba da suicidio economico.