L’Italia richiama l’ambasciatore (con oltre tre mesi di ritardo)
Omicidio. È questa l’accusa più grave che la polizia indiana ha presentato ieri al tribunale di Kollam nel dossier contenente i capi di accusa contro i marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, coinvolti nella morte, secondo le accuse, il 15 febbraio, di due pescatori indiani. Per utta risposta l’ambasciatore italiano a New Delhi è stato richiamato a Roma per consultazioni. Una nota del ministero degli Esteri riferisce che, «alla luce degli sviluppi della situazione in Kerala e dei capi di imputazione a carico dei due militari italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, l’ambasciatore a New Delhi Giacomo Sanfelice è stato richiamato a Roma per consultazioni con il governo». Dopo tre mesi ecco il primo passo ufficiale del governo italiano. Di passi ufficiosi non ce ne è notizia, ma i bene informati sostengono che non ce ne sono stati.
La formalizzazione delle accuse è giunta con sorprendente rapidità considerati gli standard dei tribunali indiani, perché oggi si conclude il periodo di 90 giorni previsto dalla legge indiana per la carcerazione preventiva, dopo il quale scatta la possibilità della libertà dietro cauzione. L’annuncio della presentazione dei documenti da parte del commissario Ajith Kumar, capo del Gruppo speciale investigativo (Sit) incaricato delle indagini sull’incidente, è giunto proprio mentre il sottosegretario agli Esteri Staffan de Mistura e la delegazione italiana si trovavano a colloquio con i marò nel carcere.
Kumar ha chiesto il processo a Latorre e Girone in base a quattro sezioni del codice penale: 302 (omicidio), 307 (tentato omicidio), 427 (azioni che hanno comportato danni) e 34 (associazione per delinquere). Il documento di accusa è di 196 pagine e contiene le presunte prove, le testimonianze e i capi di accusa a carico di Latorre e Girone. Le indagini sono durate 89 giorni. Il giudice istruttore ora dovrà esaminare il voluminoso fascicolo e disporre il rinvio a giudizio. Nel frattempo i due marò sono in arresto fino al 25 maggio, come deciso dal tribunale nell’ultima udienza. Nel documento della polizia emergono diversi particolari, tra cui quello che l’incidente è avvenuto a 20.5 miglia nautiche dalla costa (quindi al di fuori del limite delle acque territoriali). Finora non era mai stata chiarita la posizione della petroliera “Enrica Lexie” da parte dell’accusa. Per dimostrare la colpevolezza dei marò sono stati presentati 46 prove materiali e 126 documenti, tra cui la perizia balistica sulle armi dei fucilieri del San Marco. Gli investigatori hanno inoltre sentito 60 testimoni a sostegno della tesi dell’omicidio.
«Aspetto a fare commenti «dopo aver letto i capi di accusa, le motivazioni e le prove presentati». È quanto ha detto il sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura dall’India dopo la notizia che la polizia del Kerala ha depositato le accuse contro i due marò. De Mistura ha intanto avuto ieri un incontro definito diplomaticamente «molto franco» con il primo ministro del Kerala Oommen Chandy a proposito del mancato trasferimento dei due marò dal carcere di Trivandrum a un’altra struttura, come disposto dalla Corte Suprema indiana. Commentando la riunione avvenuta nel palazzo di governo, De Mistura ha detto che «è stata ferma, senza convenevoli, in cui ho mostrato il mio totale disappunto. Mi sono congedato ribadendogli che mi aspetto fatti e non parole». Prima di riunirsi a porte chiuse con le rispettive delegazioni, De Mistura e Chandy si sono offerti ai fotografi, mostrando comunque una certa distanza, anche fisica. «Gli ho manifestato il mio disappunto – ha ribadito il sottosegretario – perché l’unica cosa che lui poteva e doveva fare in questa vicenda dei nostri marò era eseguire la richiesta della Corte Suprema di rendere operativo il trasferimento invece di accettarla allontanandone però l’esecuzione di altri 20 giorni». De Mistura ha spiegato che le accuse depositate dalla polizia dovranno ora essere valutate dal tribunale e comunicate alla difesa: «L’Italia continua a contestare la giurisdizione indiana sulla vicenda, ma si lavora anche alla difesa in sede processuale». Il sottosegretario ha infine chiarito che «nella peggiore delle ipotesi in questa vicenda i nostri militari sono incorsi in uno sfortunato, non voluto, incidente, che quindi esclude totalmente la possibilità di omicidio volontario». E se invece i due marò non c’entrassero nulla?
«Quello che è successo oggi è niente di più e niente di meno di quello che ci aspettavamo. Sapevamo che allo scadere della carcerazione preventiva dovevano arrivare i capi di imputazione, ma quello che chiediamo al governo è di cominciare a battere i pugni sul tavolo». Così Christian D’Addario, nipote del marò Massimiliano Latorre parla a nome della famiglia del militare facendo trasparire tutta l’insofferenza per una situazione fatta solo di continui rinvii. «Oggi sono 90 giorni che i nostri marò sono in carcere e anche se sono militari, abituati dunque ad affrontare situazioni difficili, comincia ad essere duro non vedere una via d’uscita», dice D’Addario.
«Massimiliano e Salvatore vivono ogni giorno aspettando il momento di poter telefonare alle loro famiglie. Noi ci appelliamo al governo perché alle parole seguano i fatti, perché a Massimiliano e Salvatore, che non sono criminali, ma militari e cittadini di questo Paese, siano restituiti il loro status e la loro dignità insieme alla possibilità di veder tutelati i loro diritti».