Dopo quindici anni siamo pronti a parlare di Porzus?
Onore a Renzo Martinelli. Gli ci sono voluti più di sedici anni, ma finalmente il suo valore di regista e di ricostruttore della storia gli è stato riconosciuto dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Che, in occasione del Giorno del Ricordo, ha annunciato ufficialmente la sua decisione di recarsi in visita alle malghe di Porzus (Venezia Giulia) dove si consumò la più vergognosa strage a opera di partigiani comunisti italiani contro partigiani italiani monarchici e cattolici. Tra le vittime, il maggiore del Regio Esercito Francesco De Gregori (omonimo e zio del cantautore) e Guido Pasolini (fratello del grande poeta e scrittore).
Martinelli aveva inquadrato subito la gravità e lo spessore di quella tragedia e vi aveva dedicato l’attenzione che meritava, così come aveva fatto per altre drammatiche vicende storiche come il caso Moro (da cui il film Piazza delle Cinque Lune), la tragedia del Vaiont, la leggenda del Barbarossa e la battaglia di Vienna del 1683, raccontata nel film di imminente uscita September 11, dedicato al Beato Marco d’Aviano, il vincitore morale dello scontro che sconfisse per sempre i turchi. Come dire che, nella cinematografia italiana, non vi sono soltanto i cinepanettoni. Peccato che il film Porzus, interpretato da validi attori come Giuseppe Cederna, Gastone Moschin, Gabriele Ferzetti, Lino Capolicchio, sia stato boicottato fin dal primo momento.
Consapevole dell’ostilità politica e preconcetta che la sua pellicola avrebbe incontrato nella catena di distribuzione e di gestione delle sale cinematografiche, Martinelli, nella cassetta Vhs televisiva del film, aveva scritto, sotto il titolo della pellicola (Porzus): «Quando finalmente potremo raccontare la verità non la ricorderemo più». Chissà se immaginava che sarebbero occorsi altri sedici anni per avere la «canonizzazione» sancita ora dalla decisione del presidente di recarsi in visita, agli inizi del maggio prossimo, in quei luoghi che videro il martirio di chi non accettava compromessi con il predone comunista Tito. Veri, autentici patrioti, il cui dramma – parole di Napolitano – «occorre ricordare anche per ripensare a tutti i fatali errori, al fine di non ripeterli più». Parole alle quali il Capo dello Stato ha aggiunto «l’impegno a coltivare la memoria e a ristabilire la verità storica».
Esattamente ciò che fece Martinelli sedici anni fa con quella sua pellicola che, presentata al Festival di Venezia del 1997, sollevò incredibili polemiche. Motivo più che sufficiente per boicottare il film che oggi, dopo la decisione di Napolitano, potrebbe tornare nelle sale riscuotendo un meritato successo (Rai Movie non ha esitato a mandare in onda il film la stessa sera del 10 scorso, alle ore 21). In sintesi, la vicenda è questa. In Friuli, a pochi chilometri dal confine jugoslavo, durante l’inverno ’44-’45, numerose formazioni partigiane combattono contro i tedeschi e i fascisti. Ma il fronte non è compatto. La Brigata “Garibaldi”, organizzata dai comunisti, e la Brigata “Osoppo”, formata da monarchici, cattolici e liberali, combattono lo stesso nemico, ma con obiettivi diversi. I partigiani rossi, soprattutto gli appartenenti ai Gap (Gruppi d’Azione Patriottica) comandati da Mario Toffanin detto “Giacca”, sono infatti pronti ad allearsi con gli sloveni per fare dell’Italia un Paese comunista. Gli uomini della “Osoppo” hanno giurato che mai consentiranno a Tito di annettersi l’Istria e la Venezia Giulia. Nella pellicola di Martinelli, due anziani partigiani appartenenti alle due opposte formazioni si ritrovano dopo 40 anni per fare i conti con il passato e fare luce sul massacro, quando i comunisti assassinarono venti uomini della “Osoppo”.
Quando nel 1996 Martinelli si accinse a girare gli esterni del film, si trovò alle prese con i divieti di diversi sindaci, che non consentirono le riprese sui loro territori. Delle malghe di Porzus molti non volevano neppure sentir parlare. Non mancò chi chiese di vietare la presentazione del film a Venezia. Cattive coscienze, risentimenti, fanatismo ideologico duro a morire, uniti ad una insopprimibile abitudine a riscrivere la storia con ottica di parte, hanno fatto sì che a tutt’oggi si perpetuino punti interrogativi su quella cupa vicenda.
Ha scritto Paolo Deotto, storico e direttore della testata on line “Riscossa Cristiana”, nel suo La strage di Porzus. L’altro volto della Resistenza: «7 febbraio 1945, mercoledì, ore 14.30. Nelle malghe Porzus, due casolari sopra Attimis, in provincia di Udine, ha sede il comando Gruppo Brigate Est della Divisione Osoppo, formata dai cosiddetti “fazzoletti verdi” della Resistenza, partigiani cattolici, azionisti e monarchici. Giungono in zona cento partigiani comunisti, agli ordini di Toffanin sotto le false spoglie di sbandati in cerca di rifugio dopo uno scontro con i nazifascisti. In realtà, è una trappola: alla malga vengono uccisi il comandante della “Osoppo”, Francesco De Gregori (nome di battaglia “Bolla”), il commissario politico “Enea”, al secolo Gastone Valente, una giovane donna sospettata di essere una spia, Elda Turchetti, e un giovane, Giovanni Comin, che era a Porzus perché aveva chiesto di essere arruolato nella “Osoppo”. Il capitano Aldo Bricco, che si trovava alle malghe perché doveva sostituire “Bolla”, riesce a fuggire e a salvarsi perché i suoi inseguitori, dopo averlo colpito con alcune raffiche di mitra, lo credono morto. Altri venti partigiani osovani vengono catturati e condotti prima a Spessa di Cividale e poi nella zona del Bosco Romagno, sopra Ronchi di Spessa, una ventina di chilometri più a valle. Due dei prigionieri si dichiarano disposti a passare tra i garibaldini. Gli altri saranno tutti uccisi e sbrigativamente sotterrati tra il 10 e il 18 febbraio. Della cosa si cercò di non far trapelare nulla. Ancora un mese dopo c’era chi assicurava che “Bolla” ed “Enea” erano tenuti prigionieri dagli sloveni». Mario Toffanin “Giacca” molti anni dopo fu processato in contumacia e condannato all’ergastolo, ma era riuscito a riparare in Ceoslovacchia, luogo di rifugio tipico (almeno fino al 1968) per i criminali comunisti italiani. Fu però graziato dal presidente Pertini e fece ritorno in Italia, dove morì di vecchiaia nel suo letto.