Monti resuscita (e unisce) perfino i neocomunisti
La prima modifica all’articolo 18 è stata approvata a maggioranza, in un’assemblea di ultra-sinistra, da quelli che tutti i giorni tuonano contro la Fornero, che stanno pappa e ciccia con la Fiom e che quando sentono parlare di flessibilità del lavoro mettono mano alla falce e al martello. Ma era solo uno strano scherzo del destino: per riportare in vita il glorioso marchio del Pci e inserirlo nel simbolo che fino a quel momento portava la dicitura di Sinistra popolare, sabato scorso Marco Rizzo & company hanno dovuto votare a maggioranza proprio sulla modifica di un articolo 18: quello dello Statuto del partito. Un partito che da sabato scorso torna a rappresentare (almeno graficamente) lo spirito del vecchio Pci di Enrico Berlinguer, al quale si richiama direttamente, a distanza di novantuno anni esatti dalla sua fondazione e a dodici anni dalla sua fine, segnata dalla svolta della Bolognina.
Miracoli di Mario Monti, che è inviso al partito di Rizzo quasi più di Berlusconi, visto che oggi il nuovo Pci individua nel “capitalismo neocarolingio” il nemico da abbattere. In realtà qualcosa che va oltre il pelato e pingue neocomunista riciclatore di falci, sta davvero accadendo a sinistra già da qualche settimana. Da quando ci sono i tecnici, per esempio, ha ripreso vita Oliviero Diliberto, ritornato “prezzemolino” con il suo manipolo di aderenti al Pdci (partito dei comunisti italiani). Ma anche Nichi Vendola imperversa ed è reduce da un congresso svoltosi nel fine settimane durante il quale Sel ha operato di bastone con Monti e di carota con Bersani. E come dimenticare Paolo Ferrero, segretario della “desaparecida” Rifondazione comunista, che proprio ieri, a poche ore dalle esternazioni di Rizzo e Vendola, ha rilanciato l’ipotesi di un’alleanza delle nano-particelle di quel giurassico mondo post-leninista scomparso dalle aule parlamentari nel 2008?
Rizzo, il Pci e la Corea
Giusto per entrare in sintonia con questo nuovo, surreale coacervo di delusi dal crollo del Muro, va ricordato che l’altro giorno c’era anche il consigliere dell’ambasciata della Corea del Nord tra il pubblico che ha assistito all’incontro organizzato da Rizzo nell’anniversario della fondazione del Pci, al quale hanno presenziato rappresentanti di partiti comunisti di Francia, Grecia e Spagna. Del resto, dopo la morte del leader nordcoreano Kim Jong Il, sul sito del partito Comunisti-Sinistra Popolare era stato pubblicato un messaggio di condoglianze al popolo nordcoreano. Giusto per dare un tocco di modernità, a fine congresso Rizzo ha cambiato il nome del suo sodalizio da Sinistra Popolare in Partito Comunista. Il linguaggio del nostalgico europarlamentare, del resto, è perfettamente in linea con l’antica visione filo-sovietica del mondo che verrà: «L’obiettivo di restituire al popolo italiano un vero Partito comunista, conseguentemente marxista leninista, compie oggi un altro passo avanti», ha spiegato Rizzo. Ma il target è da real politik e punta a intercettare il “nuovo” malessere della categorie colpite da Monti: «L’appello è rivolto a unificare tutte le lotte a partire dalla classe operaia del settore privato e pubblico a quelle quelle dei taxisti, dei benzinai, degli artigiani e dei piccoli commercianti», è il messaggio del novello Berlinguer, che ha fiutato odore di elezioni e di voti facili e non disdegnerebbe di unirsi ad altre forze di sinistra per mettere in piedi un carrozzone in stile Unione e provare a governare l’Italia.
Vendola, Bersani e Schettino
Quando c’è da far titoli sui giornali, neanche il moralizzatore Nichi Vendola rinuncia alla metafora più ardita e po’ sciacalla. «All’isola del Giglio, un paradiso naturale del nostro Mediterraneo, una perla improvvisamente e improvvidamente scheggiata e oltraggiata, è naufragata penosamente un’idea di modernità fatta di mercificazione globale e di selvaggia diseguaglianza. So che le metafore si sprecano, ma sono davvero troppe le emozioni che suscita la tragedia del Costa…», ha arringato il governatore della Puglia palco del congresso di Sel. Per lui la Costa Concordia, “che inciampa in uno scoglio mentre esibisce il proprio gigantismo”, consuma lo scontro terribile e umanissimo «tra la viltà e la passione civile, tra la paura e il coraggio», quella di de Falco e di Schettino. Che non si sa per quale motivo avrebbero a che fare con la “privatizzazione predatoria di quei beni comuni che cominciano a scarseggiare, la terra, l’acqua, la salute, l’energia”. Ma tutto fa brodo, anche piegare i venti e passa cadaveri al terreno delle liberalizzazioni da bloccare, nel nome di Schettino. Vendola, ovviamente, si richiama alla foto di Vasto, quando lui Bersani e Di Pietro si giurarono amore eterno in nome dell’antiberlusconismo: ma ora che con Monti c’è da fare il pieno di facile consenso a sinistra del Pd, Vendola in ogni caso non stacca gli occhi da Bersani sorvolando sul fatto che il suo partito sostiene a tutta forza proprio quel governo dei tecnici contro cui lui incita il popolo alla rivolta sociale.
Il micro-appello del nano-Ferrero
In questa fase anche chi ha perso negli ultimi anni tanto consenso da far dubitare dell’esistenza stessa del partito, come il Prc di Paolo Ferrero, trova modo di ringalluzzirsi. E ritrova nell’ex scissionista Vendola la sponda ideale alla quale rivolgersi per dimostrare di esistere: «Caro Nichi, a sinistra non ci sono recinti ma le praterie della sofferenza sociale aggravate da un governo di destra appoggiato dal Pd. Occorre costruire l’unità della sinistra», suggerisce Ferrero. Che giusto per dare il senso della modernità della sua proposta politica, individua in un nuova Iri lo strumento ideale per la crescita dell’Italia. Come il Pci di Rizzo e i pedalò di Vendola da proporre al posto della navi da crociera.