La stangata colpisce anche l’auto
Esplode il popolo del web, con vignette, filmati, inviti alla ribellione, foto ritoccate e fotomontaggi, frasi “vietate ai minori”. Cresce la rabbia e a nulla è servito il trucco di Benigni in tv per elogiare l’(ex) uomo della provvidenza. Depressiva, lacrime e sangue, profondamente iniqua: sui contenuti della manovra economica di Monti i malpancisti non si contano più. Non solo nella gente comune e nella base dei partiti. Anche da coloro che, in Parlamento, appoggiano il governo arrivano gli appelli a cambiare qualcosa, proprio perché «c’è qualcosa che non va». È evidente però che, tranne piccoli possibili aggiustamenti, l’amara medicina andrà inghiottita fino in fondo per evitare nuove ripercussioni sui mercati e per mantenere intatto il credito nella Ue dove il direttorio Merkel-Sarkozy recentemente ha perso per strada il partner francese e anche la Germania è diventata a rischio declassamento. In vista del Consiglio europeo dell’8 e 9 dicembre a Bruxelles Angela Merkel sta imponendo la dottrina made in Germany per tentare di arginare la crisi: sacrifici per tutti. Si riuscirà a uscire dal vertice di giovedì e venerdì con un risultato positivo? Non è detto, ma i mercati stanno scommettendo su questa possibilità, come dimostra la frenata nella corsa dello spread che durava ormai da alcune settimane.
Rispunta l’allarme rating
Ancora una volta le agenzie di rating parlano e fanno danni. Il pronunciamento di Standard & Poor’s, ha messo sotto osservazione il rating di quindici Paesi dell’Eurozona, tra cui l’Italia; e ha messo in guardia Germania e Francia, che adesso rischiano di perdere la “tripla A”, insieme a tutti gli altri partner europei che finora hanno fatto parte del club esclusivo dei Paesi più virtuosi: Olanda, Austria, Finlandia e Lussemburgo. È allarme nei mercati. Le Borse ieri hanno vissuto una giornata incolore dopo la corsa di lunedì. E anche lo spread del Btp rispetto al Bund tedesco ha rallentato il suo percorso di rientro. Alla vigilia di quello che si annuncia come il più drammatico vertice della storia dell’Ue (il summit salva-euro di venerdì) una nuova complicazione di cui nessuno sentiva il bisogno. Berlino e Parigi si dicono pertanto stupiti della tempistica dell’agenzia di rating Usa, che fa pensare quasi a una possibile regia, e confermano il proposito di lanciare – in occasione del vertice – la nuova proposta per rafforzare e riformare ulteriormente la governance economica europea. Si parla di un nuovo trattato con sanzioni severe per chi sfora il parametro del 3 per cento di deficit. Soltanto una maggioranza qualificata potrà bocciare le misure punitive previste dalla Commissione e alla Corte di Giustizia sarà conferito il potere di condannare i Paesi che violano le regole sui debiti. Se i 27 capi di Stato e di governo della Ue non daranno il loro consenso a una modifica del trattato in questo senso, Merkel e Sarkozy sono orientati ad andare avanti a 17: l’Europa a due velocità è una possibilità più concreta di quanto si potesse pensare fino a qualche mese addietro. Per quanto riguarda gli Eurobond, strumenti in grado di accorciare i tempi di risoluzione della crisi, la Germania ribadisce il proprio no e Sarkozy si accoda.
La scure di Monti
Dopo la manovra di domenica scorsa Roma non è più sul banco degli imputati. Sarkozy, che poco più di un mese fa dispensava risatine quando si parlava del nostro Paese, lunedì, forse ricondotto a più miti consigli dai problemi che vanno emergendo a carico della Francia, ha detto che l’Italia è un grande Paese economicamente forte, che non ha nulla in comune con la Grecia. Fiducia nel nostro Paese, ma anche il disco verde alla stretta di Monti per complessivi 30 miliardi e con le misure caratterizzanti della tassazione degli immobili e dell’attacco al cuore delle pensioni, che è piaciuto a Francoforte e che era la prova di rigore che ci chiedevano i tedeschi. «Una soluzione drastica – l’ha definita ieri il ministro del Welfare, Elsa Fornero, nel corso di un’audizione alla Camera – abbiamo usato l’accetta». Dal 2018 non sarà più possibile andare in pensione anticipata rispetto alla vecchiaia. L’obiettivo – confermato dallo stesso ministro – è quello di allungare la vita lavorativa e alzare l’età media di pensionamento. «L’operazione tagli ha comunque un respiro di lungo termine – ha aggiunto – tanto da garantire agli italiani che non corrono il rischio di avere un’altra riforma tra due anni». Il contributivo è sempre sostenibile dal punto di vista economico, potranno servire soltanto «piccoli aggiustamenti». Un ragionamento condiviso dall’Europa e anche dalle Borse. A queste ultime è piaciuta, in particolare, la scelta di non tartassare i redditi medio-alti che pagheranno meno di quanto si temeva. Sono quelli che investono di più in azioni e se non dovranno più fronteggiare il caro Irpef non potranno che esserci ricadute positive sul fronte dei mercati che festeggiano anche perché con la copertura previdenziale che si riduce per le agenzie di assicurazione si profilano nuovi affari attraverso i fondi pensioni che finora in Italia sono rimasti parecchio in ombra.
Benzina alle stelle
Superbollo ma non solo. La stangata sull’auto arriva anche dal fronte carburanti e non saranno solo i ricchi a pagare. Con decorrenza immediata tutti pagheremo di più quando ci fermeremo dal benzinaio per fare il pieno. L’aumento delle accise a 704,20 euro per mille litri di benzina e 593,20 euro per la stessa quantità di gasolio, i prezzi alla pompa aumenteranno, infatti, di quasi 10 centesimi per la benzina e di 13,6 centesimi per il diesel. L’automobile, attaccata del fisco nella versione Suv relativamente ad auto particolarmente potenti come tassa sulla ricchezza, paga anche il costo dei rincari dei carburanti chiamati a garantire un gettito di circa 2 miliardi da conferire alle regioni per finanziare i trasporti pubblici.
Undici miliardi dalla casa
È confermato il ritorno dell’Ici, che si chiamerà Imu. La prima casa garantirà un gettito di 3,8 miliardi di euro, gli altri immobili circa 18. Il totale garantito dalla tassazione sulla casa ammonterà a è 21,8 miliardi a cui bisogna però sottrarre 9,2 miliardi che già vengono incassati con la normativa vigente e 1,6 miliardi che arrivano dall’Irpef sul reddito garantito dagli immobili. Il maggior gettito – secondo la relazione tecnica che accompagna la manovra – sarà quindi di undici miliardi. L’età necessaria per andare in pensione di vecchiaia, relativamente alla donne del settore privato, sarà di 62 anni nel 2012 per poi passare a 63 anni e mezzo dal primo gennaio del 2014 e a 65 anni dal primo gennaio del 2016. Il requisito di età per la pensione di vecchiaia delle donne dipendenti passa a 66 anni dal 2018, lo stesso requisito degli uomini e delle donne che lavorano nel pubblico impiego. Le lavoratrici autonome otterranno la pensione di vecchiaia a 63 anni e mezzo nel 2012, a 64 anni e mezzo a partire dal 2014, a 65 anni e mezzo nel 2016 e a 66 anni nel 2018.
La clausola di salvaguardia
Il decreto prevede anche una nuova clausola di salvaguardia relativa alla delega fiscale. La precedente, costituita dal taglio delle deduzioni e delle detrazioni, viene sostituita, a decorrere dal primo ottobre 2012, da un aumento di due punti delle aliquote Iva del 10 e del 21 per cento. A decorrere dal primo gennaio 2014 le stesse aliquote verranno ulteriormente incrementate di 0,5 punti percentuali. Si passerà subito alla cassa per versare il prelievo ulteriore dell’1,5 per cento sui capitali scudati. L’imposta, definita straordinaria, dovrà essere pagata in due rate: la prima entro il 16 febbraio 2012 e la seconda entro il 16 febbraio 2013. A partire dall’anno 2012 l‘addizionale erariale della tassa automobilistica, il cosiddetto bollo, è fissato in 20 euro per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 185. Il superbollo si applica a tutte le auto indipendentemente dal loro anno di immatricolazione. La nuova imposta di bollo è dello 0,1 per cento nel 2012 e dello 0,15 dal 2013 relativamente al valore di tutti i titoli e strumenti finanziari, ad eccezione dei fondi pensione e sanitari detenuti da ogni risparmiatore. L’imposta è dovuta nella misura minima di 34,20 euro e massima di 1.200 e si calcola «per ogni esemplare, sul complessivo valore di mercato o, in mancanza, sul valore nominale del rimborso». Anche l’Iperf fa parte della partita. A differenza di quanto era emerso in un primo momento le aliquote non sono state toccate. Aumentano però le addizionali a copertura delle somme che sono state tolte a Comuni, Province e Regioni. Alla data del 31 dicembre 2014, con riferimento alla gestione 2013, cessa anche il sistema dei contributi diretti all’editoria. Ma, con decorrenza primo gennaio 2012, il regolamento sui contributi sarà comunque rivisto.