Berlusconi: «Mi dimetto dopo il sì alle misure anti-crisi»

8 Nov 2011 20:46 - di

A fine giornata – con una nota del Quirinale – arriva la notizia che cambia il quadro: dopo l’approvazione delle legge di Stabilità «il presidente del Consiglio rimetterà il suo mandato al Capo dello Stato». Parola di Silvio Berlusconi. Questo è accaduto a conclusione di una giornata che ha visto la maggioranza fermarsi a quota 308 sul Rendiconto generale, risultato che ha sancito che la maggioranza ha perso pezzi ormai in maniera determinante. Da qui il faccia a faccia del premier con il presidente Napolitano, al quale ha affidato le sue conclusioni. «Il presidente del Consiglio – si legge ancora nella nota – ha manifestato al Capo dello Stato la sua consapevolezza delle implicazioni del risultato del voto alla Camera; egli ha nello stesso tempo espresso viva preoccupazione per l’urgente necessità di dare puntuali risposte alle attese dei partner europei con l’approvazione della Legge di Stabilità, opportunamente emendata alla luce del più recente contributo di osservazioni e proposte della Commissione europea». Ciò significa che Napolitano – dopo il voto sulla legge di metà novembre – «procederà alle consultazioni di rito dando la massima attenzione alle posizioni e proposte di ogni forza politica, di quelle della maggioranza risultata dalle elezioni del 2008 come di quelle di opposizione».

«Vedo solo elezioni»

Dopo l’incontro con Napolitano, per Berlusconi è stato il momento di fornire le motivazioni del suo addio annunciato, affidate a un’intervista al Tg5: «Dopo il varo della legge di stabilità ci saranno le mie dimissioni in modo che il capo dello Stato possa aprire le consultazioni e decidere sul futuro: non spetta a me decidere, ma io vedo solo la possibilità di nuove elezioni. Il Parlamento è paralizzato», ha spiegato, lanciando un appello all’opposizione affinché collabori all’approvazione delle misure anti-crisi sollecitate dalla Ue. Berlusconi ha espresso “tristezza e dolore” per la decisione di alcuni parlamentari del Pdl di lasciare la maggioranza. Poi ha guardato agli interessi nazionali: «In particolare, dobbiamo preoccuparci del fatto che i mercati non credono a che l’Italia sia capace e abbia l’intendimento le misure che l’Europa ci ha chiesto e quindi dobbiamo dare un segnale e la dimostrazione che facciamo sul serio», ha aggiunto il premier, al termine di una giornata che era iniziata con un voto dall’esito prevedibile, ma che ha di fatto determinato la svolta.

Il voto
Seduto tra Bossi, Maroni e Calderoli, che poco prima lo avevano invitato a un passo “laterale”, Silvio Berlusconi fissa con lo sguardo il tabellone che s’illumina: 308 voti a favore. È l’epilogo di un pomeriggio amaro. Il premier sorride, amaro, scartabella tra i suoi fogli, a testa bassa, cerca la soluzione al rebus, tra numeri e ipotesi appuntate prima di entrare in aula: “ribaltone”, “voto”,“presidente Repubblica” e “una soluzione”, “prenda atto, rassegni le dimissioni”, quindi scrive “308, meno 8 traditori”. Tra questi, uno non lo è, Gennaro Malgieri, assente per motivi “non politici”, la new entry è invece quella di Francesco Stagno D’Alcontres, che non ha votato insieme con quelli del Misto chelo avevano già annunciato, Calogero Mannino, Giancarlo Pittelli, Luciano Sardelli, Antonio Buonfiglio e Santo Versace. Nel Pdl invece, come previsto, sono mancati i sì di Roberto Antonione, Fabio Fava, Giustina Destro, più Alfonso Papa, ancora agli arresti domiciliari), mentre Franco Stradella si è astenuto. Fatti i calcoli, la maggioranza, ritrovando qualche voto dei “malpancisti”, magari con una trattativa da consumare entro la settimana prossima, prima del possibile voto di fiducia sul maxi-emendamento, potrebbe tornare ad essere maggioranza. Ma con tanta fatica e mille incognite, di cui ieri Berlusconi ha preso atto, prima di recarsi al Quirinale, mentre i giornali stranieri strillavano i titoli sul mezzo flop del governo sul Rendiconto dello Stato, passato con il “non voto” delle opposizioni, che nel frattempo gridavano alle dimissioni minacciando “ulteriori iniziative”.

Un via libera sofferto
Il voto sul rendiconto dello Stato, se sotto il profilo tecnico è un via libera, sotto quello politico ha segnato di fatto l’impossibilità di riconquistare la maggioranza, con otto voti in meno per il governo rispetto ai numeri che lo stesso premier era convinto di avere. Otto “traditori”, come li ha definiti Berlusconi, che avrebbero dovuto essere l’estremo tentativo di ricucitura in vista del voto di fiducia sul maxi-emendamento. Ma la storia è andata diversamente. Che il pomeriggio non sarebbe stato dei migliori, però, il premier, deve averlo intuito fin dal suo ingresso nell’emiciclo di Montecitorio. Anche l’applauso che gli è stato riservato come di consueto dai deputati del Pdl è apparso più tiepido rispetto ad altre circostanze. Forse perchè anche i fedelissimi avevano comunque fretta di sapere come sarebbe andata a finire. Al suo arrivo ai banchi del governo, Berlusconi non ha perso tempo in strette di mano o pacche sulle spalle, come era accaduto altre volte. Strette di mano che, per la verità, non gli sono nemmeno state offerte, ad esempio, da Maroni e Bossi che gli sedevano al lato. Né il premier si è profuso in grandi saluti, eccezion fatta per il gesto di toccare la mano al leader leghista. Berlusconi si è rabbuiato ancor di più durante l’intervento di Pier Luigi Bersani, poi si è “rivitalizzato” quando ha parlato Cicchitto: «La drammaticità della situazione ci impone di restare al nostro posto e di fare fino in fondo, con senso di responsabilità, il nostro dovere», ha spiegato il capogruppo del Pdl alla Camera. «Mi domando – ha aggiunto citando le posizioni dei partiti del centrosinistra rispetto alla richieste che giungono dall’Unione europea – quale tipo di governo uscirebbe fuori qualora posizioni di grande importanza che hanno su questo terreno questo sottofondo avessero responsabilità di governo. Questo è un elemento che accentua la drammaticità della situazione». A questo punto il sottosegretario ai rapporti con il Parlamento Laura Ravetto gli ha passato il tabulato con presenze e voti: il premier lo ha sfogliato e ha sottolineato qualcosa, attorniato da ministri e sottosegretari, curiosi anche loro di sapere chi aveva “tradito”. L’unica volta che il premier ha sorriso è stata proprio dopo la verifica dei tabulati.

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