Manovra migliorata, si punta al voto-lampo senza la fiducia
Il mistero della fiducia non è stato ancora svelato, si punta a un’approvazione-lampo entro domani sera senza blindare il voto, ma quella che approderà oggi in aula è una manovra che di sorprese, negli ultimi giorni, ne ha riservate tante. Al punto da rendersi quasi irriconoscibile rispetto a quella uscita dalle stanze di Via XX Settembre, saldi invariati a parte. Merito del Parlamento o demerito del ministro Tremonti? «Nulla di tutto questo, la manovra che andrà in aula è solo un buon compromesso tra rigore e riforme e lascia intatti i margini per un nuovo patto generazionale sulla previdenza e per interventi strutturali sul fisco, da fare entro fine legislatura», spiega Pasquale Viespoli, capogruppo di Coesione nazionale, tra i protagonisti della guerra di emendamenti che ha tenuto banco fino a domenica in Commissione Bilancio del Senato, prima dell’approvazione finale.
I punti qualificanti della manovra, ritoccati al Senato, sono tanti e alcuni davvero clamorosi. Come quello sull’articolo 8, su cui s’è scatenata una polemica immediata, perché va a modificare alcuni aspetti della contrattazione nazionale, argomento tabù per la Cgil e parte dell’opposizione. «Modifica sacrosanta, che sancisce una svolta verso relazioni sindacali collaborative e non più antagoniste», taglia corto Viespoli, da sempre considerato una “colomba” nei rapporti con le parti sociali.
La “svolta” dell’articolo 8
I contratti di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale «operano anche in deroga alle disposizioni di legge» e «alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali». Ecco l’emendamento che ha infiammato il dibattito politico, dopo la sua approvazione in Commissione Bilancio del Senato. Il motivo di tanto clamore è che tra le materie per le quali è possibile la deroga dai contratti nazionali figura anche il licenziamento. Di fatto, anche le aziende con più di 15 dipendenti potranno farlo senza giusta causa – in deroga al divieto sancito dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori – potendo sfruttare misure di “indennizzo” alternative al reintegro del lavoratore: ma questa facoltà è concessa solo se sarà data loro da un’intesa con i sindacati maggioritari in azienda e fatte salve la «Costituzione nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro». Di fatto, nessuna deroga su temi quali il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento. Occhio e croce, garanzie immutate e deroghe solo se concordate con i sindacati. Ma la novità, per certi aspetti di natura strutturale, come sempre viene bollata come un attacco all’autonomia sindacale non solo da forze sociali ideologiche come la Cgil, ma anche da larghi settori dell’opposizione, che sul punto in questione si prepara a mettere i bastoni tra le ruote alla maggioranza, in aula. Una scelta irresponsabile che potrebbe costringere il governo a porre la fiducia.
Viespoli: è una svolta
«Credo che questa modifica alla contrattazione rafforzi il protagonismo dei sindacati, nella stessa misura in cui quello sull’evasione fiscale determina un maggior coinvolgimento degli enti locali – spiega ancora Viespoli –. Ogni lettura ideologica dell’articolo 8 sarebbe sbagliata, è chiaro che si fa riferimento a deroghe in particolari situazioni di crisi e in ogni caso al sindacato spetta il compito di valutarne l’applicazione. Io considero questa una svolta verso relazioni con le parti sociali più moderne, collaborative, non fondate sull’antagonismo, come quelle che sostiene la Cgil, che non a caso organizza uno sciopero generale anche con la motivazione faziosa che licenziare da oggi è più facile». Viespoli però ritiene che il successo più importante per il suo gruppo (a parte quello sulla garanzia per le tredicesime per gli enti non a posto con i conti) sia quella sul mancato taglio dei Fas regionali, i fondi per le aree sottosviluppate. «Una misura a tutela del sud, ma anche della coesione nazionale», conclude Viespoli.
Le misure anti-evasione
Dal dibattito in Senato sono venute fuori anche altri novità importanti. In primis, l’addio al contributo di solidarietà, con l’atteso gettito che sarà rimpiazzato grazie al pacchetto anti-evasione. Ben 5,3 miliardi di euro in tre anni che arriveranno dal recupero delle somme non riscosse del condono 2002, dall’inasprimento delle pene per gli evasori, arrivando anche al carcere, dalla pubblicazione dei redditi sui siti dei comuni, che però, rispetto a quanto indicato in un primo tempo, non comporterà l’indicazione del nome e del cognome del contribuente per esteso. Una delle novità dell’ultim’ora è anche la cancellazione dell’obbligo di indicare nella dichiarazione dei redditi la banca su cui si tengono i proprio conti correnti. Sia per la pubblicazione dei redditi on line che per la questione bancaria, è prevalsa la prudenza in virtù delle indicazioni dell’authority per la Privacy.
Tra le novità inserite nel primo step a palazzo Madama c’è l’introduzione della spending review per le amministrazioni centrali, che potrà prevedere anche la creazione della super-Inps, l’arrivo di un’imposta di bollo sui money transfer, il riordino degli uffici giudiziari e la maggiorazione dell’Ires per le società di comodo. Salve le accademie della Crusca e dei Lincei. Con un emendamento bipartisan alla manovra, viene cancellata la soppressione (prevista dal decreto legge) degli enti di ricerca e culturali sotto i 70 dipendenti. Salvo anche il parco geominerario della Sardegna. Sul fronte dei piccoli comuni, passa l’accorpamento di servizi e funzioni dei comuni con meno di 1.000 abitanti, salvando però gli organismi. Sul tema tanto di moda, quello della casta, il Senato ha deciso che parlamentari e membri del governo non potranno occupare la sedia di sindaco nei comuni con più di 5.000 abitanti. Le cariche di deputato, di senatore, di governo e di parlamentare europeo, si legge nella norma, «sono incompatibili con qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica relativa a organi di governo di enti pubblici territoriali aventi, alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 5.000 abitanti».