Gira che ti rigira, alla fine sarà la manovra dell’Iva
Si accettano scommesse: alla fine quella in discussione non potrà che essere la “manovra dell’Iva”. Che cosa ci dà questa certezza? Il fatto che dopo settimane di batti e ribatti, ancora non si capisce bene che cosa il provvedimento contiene e se i saldi sono comunque tali da garantire una correzione di 45,5 miliardi e consentire di centrare l’obiettivo dell’anticipazione del pareggio di bilancio al 2013. La stretta anti-evasori, che comunque è una scelta giusta, continua a suscitare non poche perplessità, soprattutto perché il gettito atteso è tutt’altro che sicuro. Tanto che la Commissione Ue ha fatto sapere di guardare «con preoccupazione» alla rilevanza in manovra di queste misure che rappresentano un «eccessivo affidamento sulla lotta all’evasione». E Silvio Berlusconi, volendo rassicurare i mercati e i partner all’interno di Eurolandia, ha affermato che nessuno si deve preoccupare dei saldi, perché c’è già una clausola di salvaguardia in questo senso costituita dall’aumento dell’Iva: uno e per qualche tempo (si parla di tre mesi) anche due punti, dal 20 al 21-22 per cento.
Prima dell’estate è stata data la garanzia dei tagli alle agevolazioni nel caso in cui la delega fiscale non fosse andata in porto, oggi gli inasprimenti Iva a dare tranquillità a critici e osservatori. Tutto bene? Forse. Aumentare l’Iva è meno scandaloso di quanto non possano essere considerate altre misure, prima ipotizzate e poi abortire nel giro di ventiquatt’ore. Anche qui, però, è certamente il caso di fare la tara. Come la lotta all’evasione, anche aspra, ha un senso se è propedeutica alla nascita di un nuovo fisco e se non si limita all’annuncio, ma la si conduce in porto avendo il coraggio di assumersene le responsabilità e di pagarne i costi in termini politici, così agli inasprimenti Iva deve seguire una più attenta composizione delle fasce di beni su cui insistono le tre aliquote, rispettivamente del 4, del 10 e del 20 per cento. Riaggiornare le fasce impedirebbe di fare di tutta l’erba un fascio, magari il paradosso di equiparare chi è costretto a fare una visita specialistica privata a chi vuole comprare un bene di lusso. Tutto questo anche in virtù di un possibile spostamento di una parte importante delle imposte dai redditi alle cose, vale a dire dalla tassazione diretta a quella indiretta, che restituisca equità al nostro fisco.
Con queste premesse l’Europa può stare tranquilla: alla fine il bilancio quadrerà. Tanto che da Berlino arriva una nuova rassicurante presa di posizione del portavoce della cancelliera Angela Merkel, Steffen Seibert, che riconferma la «piena fiducia» dei tedeschi all’Italia. Per gli italiani, invece, anche le schermaglie di queste settimane hanno il loro valore e hanno lasciato il segno. E, poi, aumentare l’Iva potrebbe avere ricadute sui consumi che, certo, non aiutano la ripresa. L’Iva che passa dal 20 al 21 per cento assicura però 4 miliardi di gettito e rappresenta un provvedimento che la presidenza del Consiglio può attuare da un giorno all’altro. «Quindi – sentenzia Berlusconi da Parigi, volendo chiudere ogni discussione – cianciare sull’Iva non ha nessun senso: non ci sono problemi per l’approvazione della manovra in Parlamento». Bersani e i suoi sono così serviti: la copertura c’è e, volendo, è sancita anche da una vera e propria polizza di assicurazione. L’aumento dell’Iva, insomma, come riserva che, tra l’altro, «dovrebbe far chiudere le polemiche».
Così però non è dal Pd continuano ad arrivare accuse di pressappochismo al governo. «Affidano – afferma Stefano Fassina, responsabile economia e lavoro del partito – senza alcun sostegno empirico, le previsioni di maggior gettito a finalità dissuasive e a comportamenti maggiormente virtuosi» che sono di là da venire. Il risultato è, secondo Fassina, che mancherebbero comunque all’appello 3 miliardi di euro di gettito, ossia l’intero ammontare «del cancellato contributo di solidarietà». E la Confindustria parla di «misure che risentono della fretta e dell’approssimazione con cui è stato predisposto l’emendamento». Ergo, «non sono coerenti e dovranno necessariamente essere riviste». Un tentativo di far quadrare i conti che, per l’Italia dei valori, rappresenta una mossa disperata e un poco convinta, mentre la lotta all’evasione fiscale è una cosa seria che non può essere improvvisata.
Per la Cisl, comunque, le nuove misure previste in manovra «rafforzano gli strumenti di contrasto all’evasione e sono utili e opportune». «Si stanno dando risposte, vedremo l’impatto – sostiene il segretario generale Raffaele Bonanni – sono spunti importanti e interessanti, se si pensa che appena due mesi fa il governo parlava di allarnare le ganasce. Le misure vanno nella direzione da noi auspicata». Ora, però, «perché l’operazione sia efficace – sottolinea il segretario confederale Masurizio Petriccioli – è necessario potenziare i meccanismi volti ad assicurare la certezza della pena». Si tratta di intensificare e rendere efficace una lotta che, secondo il Coisp (sindacato indipendente di polizia) sarà benemerita se contribuirà a debellare «una piaga sociale che costituisce un problema che affligge e intacca il patrimonio dell’Italia e degli italiani».
Intanto il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, interviene al Senato di fronte alla Commissione Bilancio ed esclude misure di condono o scudi fiscali: «Si tratterebbe di un intervento una tantum capace di generare introiti di cassa, ma non di modificare l’assetto della finanza pubblica». Ma le misure sono o no sbilanciate sulla componente fiscale a danno dei tagli alla spesa? Per Tremonti queste sono polemiche che non hanno senso: la proporzione prevista inizialmente è stata infatti mantenuta. E, tra l’altro, come è possibile dimostrare consultando i dati e le previsioni del ministero dell’Economia, in Italia la spesa pubblica continua ad aumentare: adesso impegna 815 miliardi, in un triennio arriverà a 890. I tagli, insomma, almeno per ora, non aggrediscono gli stock, limitano gli incrementi che, comunque, continuano a operare sia pure in misura minore rispetto al previsto.
Gli enti locali, però, sembrano avere delle idee diverse da quelle di Tremonti e non tengono in nessun conto il ragionamento sulla spesa pubblica che cresce, anche per quanto concerne la parte corrente e improduttiva. Lunedì prossimo, a partire dalla 15, presso la Sala delle conferenze dell’Autorità garante, in piazza Montecitorio a Roma, Regioni, Province e Comuni metteranno in atto una mobilitazione unitaria. Protestano contro quelli che definiscono «tagli insostenibili ai servizi ai cittadini e all’economia dei territori e contro le misure di carattere ordinamentale considerate sbagliate e offensive della dignità delle istituzioni territoriali e di chi le governa». Per loro, i tagli alla speso sono addirittura troppi. Alla faccia di chi continua a sostenere che questa manovra è troppo spostata sul fronte delle entrate.