Brunetta, diciamolo: siamo stati gli unici ad aiutare i precari
Contro la disinformatja bisogna picchiare duro, senza paura di prenderle. Anche accantonando l’aplomb istituzionale. La vicenda di Renato Brunetta e della precaria vip Maurizia Russo Spena, figlia dell’ex presidente dei senatori di Rifondazione comunista, ha avuto come effetto quello di scatenare la speculazione mediatica della sinistra con immagini che hanno fatto il giro del web, da Facebook a YouTube, con tanto di ironie, commenti feroci e battutacce. Bugie degli “operaisti aristocratici”, cui va contrapposta una campagna di verità, convincente anche sotto il profilo della comunicazione. Per mettere all’angolo la precaria vip, infatti, sarebbero bastate poche parole: informati bene perché il governo di centrodestra è stato l’unico in Europa a privilegiare il sociale su tutto il resto aiutando, nel periodo peggiore della crisi mondiale, le fasce più in difficoltà. E se la precaria vip avesse controbattuto con qualche slogan il ministro avrebbe potuto aggiungere: prima di parlare, leggi le cifre. Il precariato l’ha creato il centrosinistra, ma noi abbiamo fatto il possibile per ridimensionarlo.
E sì, perché se verba volant, scripta manent. E sul tavolo, nella stagione più difficile, il governo ha messo tutte le risorse che è stato possible reperire. Non ci sono stati solo i 30mila precari della scuola, a cui sono stati garantiti degli sbocchi, ci sono stati anche gli 8 miliardi di euro stanziati per la cassa integrazione in deroga (anni 2009 e 2010), mentre quella ordinaria e straordinaria è stata allungata oltre le 52 settimane. Hanno potuto accedere alla cig anche i precari che hanno perso il lavoro e persino ai Co.co. pro., per i quali il governo ha previsto una specifica indennità una tantum rispetto al reddito percepito l’anno precedente. In via sperimentale, per il triennio compreso tra il 2009 e il 2011, la cig per chi perdeva il lavoro è stata estesa anche a chi è impiegato in aziende e in settori (commercio, turismo) dove fino a quel momento non era previsto il ricorso a questa forma di sostegno al reddito. Anche i lavoratori con contratto a termine, gli interinali e gli apprendisti sono stati della partita. Si poteva fare di più? Forse. Il fatto è che gli altri Paesi europei non hanno fatto neppure questo, impegnati com’erano a tutelare le loro banche in difficoltà. E la disoccupazione, in molti casi, è esplosa. Da noi, invece, ha prevalso il desiderio di tutelare i più deboli e con essi la pace sociale, nonostante il nostro Paese abbia un sistema di relazioni industriali abbastanza conflittuale, con la Cgil animata da preconcetti politici e schierata sul fronte dell’opposizione al governo Berlusconi.
Certo, l’esecutivo avrebbe potuto comunicare meglio. Non sono in molti, infatti, neppure tra gli operatori dell’informazione, ad aver capito, per esempio, i contenuti dell’accordo tra governo e Regioni per gli ammortizzatori sociali. Eppure è stata scritta una pagina importante nella politica economica italiana, perché in un colpo solo sono state date risposte importanti sul fronte della cig e di altri sostegni in deroga per i redditi da lavoro, oltre che dell’attivazione dei fondi Fas per le aree sottoutilizzate. Finalmente la cig non divide i lavoratori tra buoni e cattivi. E per la prima volta, in Italia, il Fondo sociale europeo (Fse) combina strumenti che coniugano sostegno al reddito e forme di orientamento e riqualificazione. Il tutto mobilitando cifre considerevoli, perché gli ammortizzatori sociali sono finanziati con 8 miliardi, ma il governo ha anche approvato, attraverso il Cipe, la ripartizione di circa 27 miliardi di euro di fondi Fas a favore delle regioni: l’85 per cento a favore del Sud e il restante 15 per cento a beneficio del resto dell’Italia. I Co.co.pro. protestano perché hanno bisogno di certezze, ma il ministro Sacconi si è impegnato a rendere possibile il passaggio dell’indennità di reinserimento dal 10 al 20 per cento di quanto percepito l’anno precedente. Mentre l’economia internazionale andava a rotoli, dunque, il governo ha deciso di far prevalere la propria anima sociale, anche andando contro la logica degli investimenti produttivi. Un fatto senza precedenti, una scelta del tutto opposta a quanto avvenuto negli altri Paesi del Vecchio Continente, dove invece i parametri sono stati altri. Una scelta difficile, perché il mondo delle imprese avrebbe preferito una propria partecipazione alla divisione dei pani e dei pesci. Ed Emma Marcegaglia non ha mancato di far sentire la propria voce in più occasioni, prendendo le distanze dal governo e lamentando che le imprese venivano lasciate sole. Evidentemente non sono state comprese appieno le motivazioni di chi ha preferito garantire un reddito a chi rischiava di perderlo rispetto a tutto il resto. L’obiettivo era importante e di può dire che in gran parte è riuscito: mantenere i lavoratori legati alla realtà produttiva. Oggi, sul fronte economico, paghiamo anche per quella scelta. Cresciamo di meno perché le imprese denunciano ritardi e molte chiudono i battenti. Ma da questa situazione non si esce negando che siano state fatte delle cose importanti. Si fanno i conti e si riprogrammano gli interventi. Del resto, nello stesso governo, al momento del varo dei provvedimenti sugli ammortizzatori sociali, si levarono voci discordanti, ma alla fine ha avuto la meglio la scelta di tutelare le fasce più deboli dai rischi della crisi. Non è un caso se il centrodestra, pur avendo perso le ultime amministrative, conserva un gradimento tutto sommato buono, mentre altrove i vari leader sono scesi sotto il 20 per cento.