Al signor Bonaventura (se è fortunato) mille euro al mese
Il “nuovo” pensionato sembra il signor Bonaventura, uno dei personaggi più importanti del fumetto italiano nato dalla geniale fantasia di Sergio Tofano. Non certo per la marsina di colore rosso, il cappello a bombetta e i pantaloni bianchi ma perché – almeno all’inizio di ogni storia – non ha certo il portafogli di Paperon de’ Paperoni e cerca di arrangiarsi in qualche modo. Senza però il “milione” finale, senza il sorriso e soprattutto in una realtà che travolge la fantasia fumettistica. La fotografia che offre l’Istat sugli anziani è proprio questa, perché la stragrande maggioranza di loro vive con mille euro al mese, euro in più o euro in meno. E attendono un Robin Hood che sappia mettere ordine in un sistema che paga i gravissimi errori commessi in passato da una politica incapace di dar vita a scelte razionali e coraggiose.
C’è chi non riesce ad arrivare a fine mese e chi invece gode di “assegni” corposi, grazie a una giungla di privilegi ancora da sfoltire. Sono le contraddizioni frutto di logiche perverse e di meccanismi nati sia nelle stagioni del pentapartito sia con l’operaismo “aristocratico” della sinistra. Proprio per questo andrebbe intensificata l’«anima sociale» del governo Berlusconi, che ha generato quantomeno alcuni provvedimenti tesi ad aiutare chi è in difficoltà.
Ma veniamo all’Istat. L’Italia è un Paese “vecchio”: per ogni cento lavoratori occupati ci sono 71 pensionati. Troppi perché la “navicella” della previdenza italiana possa pensare di galleggiare senza rischiare il naufragio. I conti, infatti, si vanno complicando, con la spesa che ha raggiunto un livello record, anche a causa della flessione del Pil, trascinato a ribasso dalla crisi economica. In un anno siamo arrivati a spendere 253,480 miliardi di euro. L’incremento maggiore si è avuto per le pensioni sociali. Rispetto alla media Ue impegniamo a questo scopo una percentuale di Pil notevolmente maggiore, mentre siamo deficitari per quanto concerne altri interventi che caratterizzano Paesi considerati moderni, produttivi ed efficienti. L’indennità di disoccupazione, ad esempio, è a livelli molto bassi e bassissimi sono gli aiuti alla famiglia.
Spendere molto in previdenza, comunque, non significa garantire una vita agiata ai pensionati. Nonostante le molte riforme, il sistema continua a fare acqua in più parti. Il motore ha bisogno di essere rimesso a punto, riorganizzando il welfare e facendo in modo che chi va in pensione lo faccia per vivere, non per sopravvivere. Dal punto di vista demografico l’indagine dell’Istat sfata il luogo comune che la culla delle pensioni sia il Sud. Nel 2009, infatti, la maggior parte delle pensioni (47,9 per cento), dei relativi titolari (48,5 per cento) e della spesa erogata (50,7 per cento) si concentrava nelle regioni settentrionali. Il tutto in una situazione in cui il 3,6 per cento di pensionati ha meno di 40 anni e il 25,9 ha un’età compresa tra i 40 e i 64.
In termini assoluti in Italia vengono erogate 18,6 milioni di pensioni Ivs (invalidità, vecchiaia e superstiti); 4,3 milioni assistenziali (invalidità civile, pensioni sociali e pensioni di guerra); 907.501 indennitarie (infortunio e malattia professionale). Un terzo dei titolari riceve almeno due assegni, mentre l’otto per cento arriva a tre. La metà circa dei pensionati non raggiunge i mille euro al mese e quasi due milioni e mezzo di persone si fermano a meno di 500.
Giuliano Cazzola, vicepresidente della commissione Lavoro della Camera, rileva che «un dato desta preoccupazione: il peso della spesa pensionistica sul Pil nel 2009 ha sfiorato il 17%, un tasso che, sulla base delle previsioni, era atteso per il 2035». Sono i risultati della crisi economica, ma si tratta comunque di dati che spingono a muoversi. Un’esigenza che, per la Cisl, è di carattere redistibutivo. I tempi? Bisogna fare presto, perché i dati diffusi ieri dall’Istat dimostrano – secondo il presidente Enrico Giovannini – che per gli anziani c’è un «rischio povertà». Tra i più deboli i pensionati soli, ma anche le famiglie del Sud con bambini e i giovani, anche stranieri, che abbandonano la scuola. A queste persone bisogna guardare. Ma per poterlo fare è necessario sfrondare il sistema della previdenza dai costi legati ai molti privilegi che oggi non hanno più ragione di esistere. Le varie riforme che si sono succedute nell’ultimo ventennio ne hanno eliminati molti, ma la galassia delle pensioni non è stata del tutto bonificata. Basta guardare a quanto riportato da Mario Giordano nel suo recente libro intitolato Sanguisughe e sottotitolato Le pensioni d’oro che ci prosciugano le tasche, per capire che la grande abbuffata è ancora in corso. C’è il pensionato più ricco d’Italia, con 90mila euro al mese. Ci sono i tre onorevoli che sono stati in Parlamento per un giorno solo e percepiscono la pensione da parlamentari per tutta la vita, C’è l’ex presidente del Consiglio che ha tagliato le pensioni altrui e ne ha ottenuta per sé una da 31mila euro al mese. C’è il presidente della Repubblica che, oltre al vitalizio, incassa 4.766 euro netti al mese come ex magistrato, pur avendo lavorato in questo suolo soltanto per tre anni. Poi ci sono le baby pensioni, le pensioni dei mafiosi, le doppie, le triple, le quadruple pensioni, mentre ai cittadini comuni vengono chiesti continuamente nuovi sacrifici. Forse è il momento di capire che prima di potare l’albero, sarebbe il caso di sfrondarlo. Lo si faccia, almeno per i privilegi macroscopici.