Scontri a Bari: gli antifascisti tentarono l’assalto, ma i pm chiudono CasaPound

11 Dic 2018 15:30 - di Eleonora Guerra

Per la magistratura è un «sequestro preventivo». Con questa motivazione è stata chiusa la sede di CasaPound Italia Bari. Alla base del provvedimento, però, ci sono fatti che risalgono ormai a quasi tre mesi fa: era il 21 settembre e un gruppo di militanti antifascisti tentò di raggiungere la sede del movimento, dopo essersi staccato dalla manifestazione “Mai con Salvini” che si svolgeva in una zona non lontana, ma diversa della città. Ne seguirono una rissa e la consueta denuncia da parte degli antifascisti di essere stati aggrediti.

La versione dell’attacco fascista, subito pompata mediaticamente, suscitava diversi dubbi, a partire dal fatto che erano stati gli antifascisti a fare rotta sulla strada della sede di CasaPound, che era fuori dal percorso del corteo, e non viceversa. Gli antifascisti, alcuni dei quali poi si fecero medicare in ospedale, denunciarono anche di essere stati aggrediti con mazze e altri oggetti atti a offendere. Un racconto accolto dagli inquirenti, anche sulla base di un filmato divulgato dalla polizia in cui si vede un ragazzo scagliarsi contro un altro con una cinta in mano e successivamente scatenarsi una rissa. Non è chiaro, invece,  cosa sia accaduto prima. Così nel dispositivo alla base del sequestro della sede (e dell’iscrizione di diversi giovani nel registro degli indagati) si legge che i ragazzi di CasaPound, con «sfollagente, manubri da palestra, manganello telescopico, cintura di pantalone» e con premeditazione realizzarono «una brutale aggressione» ai danni degli antifascisti. Quanto alle altre presunte “armi improprie” nelle due perquisizioni immediatamente successive al fatto e riguardanti sia la sede sia la strada su cui si affaccia non se ne trovò traccia, tanto che i verbali parlarono di «esito negativo».

L’aspetto forse più sorprendete dell’inchiesta è, però, che la magistratura abbia deciso di estenderne i contorni. Così su 28 militanti di CasaPound Italia Bari indagati per i fatti del 21 settembre solo 10 sono stati iscritti per il presunto reato di lesioni aggravate in concorso. L’accusa di massa fa invece riferimento alla Legge Scelba. Insomma, ai ragazzi  di Cpi viene contestata la riorganizzazione del disciolto partito fascista. In particolare, sono accusati di «aver partecipato a pubbliche riunioni, compiendo manifestazioni usuali del disciolto partito fascista e di aver attuato il metodo squadrista come strumento di partecipazione politica». Una cornice in cui anche essere stati pronti a difendersi dal tentativo di aggressione messo in atto dagli antifascisti finisce per diventare l’esecuzione «di un medesimo disegno criminoso giustificato dall’ideologia fascista». Ben più concreto, invece, il reato contestato ai 5 indagati dell’area antagonista, sopraggiunti nei pressi della sede di Cpi: sono accusati di minacce e violenza ai danni delle forze di polizia. Si tratta di esponenti del centro sociale “Ex Caserma Liberata”, che però non risulta essere stato posto sotto sequestro per «evitare il pericolo concreto e attuale – come viene scritto di Cpi – che costoro possano tornare a sfruttare tale luogo di aggregazione, facendone la sede da cui pianificare, organizzare e realizzare analoghe manifestazioni di violenza».

Non stupisce quindi che il movimento abbia avanzato il sospetto di una misura giudiziaria viziata dal pregiudizio. «Le accuse dei pm contro la sezione di CasaPound Bari non trovano alcun riscontro nella realtà dei fatti e sembrano a tutti gli effetti motivate da un pregiudizio politico», è stato il commento del segretario di CasaPound Italia, Simone Di Stefano, che ha ricordato come la questione della ricostituzione del Partito fascista sia stata «già abbondantemente chiarita: CasaPound non vuole ricostituire alcunché, si presenta regolarmente alle elezioni e persegue la via democratica per far valere le proprie idee». «La violenza non fa parte dei metodi politici di Cpi, che si limita a difendere la propria agibilità politica quando diventa bersaglio degli attacchi armati dell’antifascismo militante, quello sì eversivo e violento», ha precisato ancora Di Stefano, ricordando che «in quella giornata noi fummo gli aggrediti e non certo gli aggressori: il contatto avvenne infatti nei pressi della nostra sede, in un punto della città in cui i militanti antifascisti non avevano alcuna ragione di passare, se non quella di attaccare Cpi». «Un incidente a lungo cercato dall’estrema sinistra, anche nelle settimane precedenti, e infine trovato grazie alla preponderante superiorità numerica dovuta alla manifestazione anti Salvini di quel giorno», ha proseguito il segretario di Cpi, ricordando che «le perquisizioni hanno dato tutte esito negativo, tanto che ci si è dovuti attaccare a dei manubri da palestra per tenere in piedi il teorema del “covo di picchiatori”».

 

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