È solo grazie a San Benedetto se oggi mangiamo polli “più in carne”

16 Set 2016 16:43 - di Redazione

Se oggi i polli sono così ‘in carne’ da essere uno dei cibi più diffusi nel mondo, la ragione è nella Regola Benedettina che nel 534 proibì il consumo di carni di quadrupedi. A scoprire l’impatto dell’ora et labora sulla secolare selezionare degli animali portatori di una variante genetica che li rendeva più grassi, è stata l’analisi del dna dei polli fatta dal biologo evoluzionista Greger Larson, dell’università di Oxford, che ha presentato i dati nel corso del settimo Simposio internazionale di archeologia biomolecolare a Oxford.

Lo sostiene il biologo evoluzionista Larson

I polli che mangiamo oggi nelle nostre tavole sono molto diversi dai primi addomesticati all’incirca 7000 anni fa probabilmente nelle foreste del sud est asiatico. Oggi sono infatti molti più grossi e la causa di tutto, secondo uno studio del 2010, dovrebbe essere stata la diffusione di un particolare gene (Tshr) considerato responsabile in modo indiretto di un aumento della fertilità di questi uccelli e un incremento della loro massa, soprattutto del petto. Ma la storia della diffusione del gene è stata ricostruita solo ora studiando i resti di Dna ritrovato in siti archeologici europei di varie epoche, fin dal III secolo a.C.

Fu la Regola Benedettina a far preferire i polli ai quadrupedi

Secondo i dati, la presenza del “nuovo” gene esplose rapidamente circa 1000 anni fa: un fenomeno inspiegabile per i normali meccanismi evolutivi, ma spiegato da ragioni storiche. A partire dal X secolo la Chiesa e l’intera società dell’epoca, infatti, furono rivoluzionate dalla cosiddetta Riforma cluniacense, un movimento ecclesiale che aveva tra i fondamenti l’applicazione rigida della Regola Benedettina, istituita nel 534, che proibiva il consumo di carni di quadrupedi. Una “novità” destinata a trasformare non solo i pasti degli ecclesiastici e dei contadini ma anche il petto dei polli. Il maggior consumo di pollo portò infatti rapidamente a preferire l’uso di galline più riproduttive (con la variante Tshr) le cui caratteristiche si diffusero portando ai polli “in carne” che conosciamo oggi.

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