Superstite di Hiroshima a Obama: niente scuse, ma bandisca il nucleare

26 Mag 2016 17:55 - di

«Non vogliamo che Obama porti le sue scuse, ma un mondo senza nucleare»: Yasuo Harada, 85 anni, medico otorino in pensione, è felice per l’arrivo del presidente americano a Hiroshima, ma, prendendo le distanze da coloro che vorrebbero delle scuse ufficiali da parte di Obama, vuole piuttosto che si guardi al futuro e che la città rasa al suolo dalla prima delle due bombe atomiche sganciate dagli americani, il 6 agosto 1945, diventi simbolo di un mondo senza nucleare. Barack Obama, il primo presidente americano in carica a recarsi a Hiroshima, farà una dichiarazione e poi deporrà una corona nel tardo pomeriggio di domani (27 maggio per chi legge) al memoriale della pace, dove si trova la cupola che ricorda l’esplosione atomica. Ma, come ha sottolineato la Casa Bianca, non ci saranno scuse ufficiali. «Vogliamo la pace nel mondo», ha detto all’Ansa Harada. «Vogliamo che il nucleare scompaia e Obama mi piace, perché sta lavorando affinché non ci sia più una simile minaccia». Harada, che tra l’altro è stato studente all’università di Pavia tra il 1965 e 1966, è riuscito a scampare alla morte quel tragico 6 agosto grazie a un ordine disobbedito. La scuola dove studiava a Hiroshima fu infatti completamente rasa al suolo e solo 19 studenti riuscirono a salvarsi.

Hiroshima fu bombardata dagli americani il 6 agosto 1945

«Avevo 14 anni – ha raccontato – e, nonostante fosse estate, si andava a scuola lo stesso per lavorare, perché a causa della situazione critica in cui si trovava il Paese a tutta la popolazione venne ordinato di lavorare incessantemente. Noi studenti venivamo impiegati nelle fabbriche di costruzioni di armi o di aerei oppure nella demolizione delle case. Il giorno dello scoppio della bomba io e altri studenti non andammo a scuola solo perché un nostro professore decise di trasferirci altrove, disobbedendo a un ordine impartito del direttore di una fabbrica di demolizione di farci restare a Hiroshima. Il 6 agosto la mia scuola fu rasa al suolo e morirono quasi 300 ragazzi». In giapponese i sopravvissuti alla bomba atomica vengono chiamati hibakusha. E anche se Harada non è stato direttamente coinvolto dallo scoppio della bomba, il ricordo del famoso fungo che si è elevato in cielo è ancora vivo nella sua mente. «Anche se non ero in città – dice – ho visto tutto dalla mia casa a Kure, città marittima nella prefettura di Hiroshima. Ho visto come un fulmine, poi degli scoppi e tre nuvole che si sono alzate in cielo. All’inizio ho anche provato meraviglia. Subito dopo lo scoppio nessuno era consapevole che si trattasse di una bomba atomica. Lo abbiamo capito quando abbiamo visto morire la gente nei mesi successivi. Io stesso ho perso uno zio e anche se avevo solo 14 anni aiutavo a curare i feriti e vedevo che la loro pelle si staccava per le ustioni. Dopo 61 anni non dimentico, ma preferisco guardare avanti. E non è necessario che Obama chieda il nostro perdono: è più importante che sia un messaggero di pace».

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