Fratelli d’Italia si prende la rivincita. Ora è l’Ue a fare le pulci alla svendita di Bankitalia

28 Feb 2014 13:18 - di Romana Fabiani

Adesso è l’Unione europea a fare le pulci al “pasticciaccio brutto” della svendita di Bankitalia decisa del governo Letta a fine novembre e approvata con la  cosiddetta “ghigliottina” applicata dalla presidente Boldrini (per la prima volta nella storia di Montecitorio) per strangolare l’ostruzionismo di Fratelli d’Italia e dei Cinquestelle. La Commissione europea ha messo nero su bianco il sospetto che la straordinaria ripatrimonializzazione della Banca d’Italia  (da 300 milioni a 7,5 miliardi) nasconda un aiuto di Stato ad alcune banche azioniste dell’istituto di via Nazionale. Nella lettera spedita al ministero dell’Economia si chiedono «chiarimenti» sulla legge con la quale è stata disposta l’operazione che ha surriscaldato il dibattito parlamentare.  Per ora – ha spiegato l’antitrust Ue – è solo una richiesta di chiarimenti, ma la mossa di Bruxelles ha tutta l’aria di una nuova tegola sulla testa del baldanzoso governo Renzi. L’accusa di Bruxelles, neanche tanto velata, è di concorrenza sleale sul mercato internazionale attraverso benefici patrimoniali agli istituti che in questi mesi sono sottoposti all’esame dei bilanci dalla Bce e dell’authority europea. Si respira imbarazzo al ministero dell’Economia, il cui staff fa sapere che il neoministro Pier Carlo Padoan «sta ora valutando la missiva». Sul decreto tra l’altro pesa il vizio di forma della mancata notifica alla commissione europea da parte dell’allora ministro dell’Economa Saccomanni. Se i tecnici di Bruxelles vogliono vederci chiaro a tutela dei mercati comunitari, si ispira invece alla tutela della sovranità monetaria contro la voracità della grande finanza internazionale il “no pasaran” di Fratelli d’Italia, che oggi può gustare il sapore di una prima, parziale rivincita sul provvedimento «scritto sotto dettatura delle banche azionistedi Palazzo Koch, in tutta fretta per la necessità di irrobustirsi in previsione degli stress test europei».

Con la trasformazione in una public company il  governo ha di fatto privatizzato la Banca d’Italia (nazionalizzata sotto l’onda di bancopoli dal governo Berlusconi nel 2005 con il voto unanime del Parlamento) rivalutando generosamente, attraverso l’utilizzo delle risorse statutarie (la cassaforte pubblica del Tesoro), le azioni delle banche quotiste, tutte private: è questa l’accusa principale mossa da Giorgia Meloni e manifestata in Aula da Fabio Rampelli, proprio ieri sanzionato pesantemente (10 giorni di sospensione) dalla presidenza della Camera per aver osato sventolare il tricolore e un cartello con la scritta “corrotti” nella incandescente seduta del 30 gennaio, che si è conclusa con il via libera alla svendita. Tutta l’operazione rappresenta «un regalo ultramiliardario» proprio a quegli istituti privati (IntesaSanPaolo, Unicredit, Generali, Cassa risparmio di Bologna, Inps e Carige) responsabili della stretta sul credito per migliaia di imprenditori al collasso. Un regalo alle banche private e alle cordate straniere (che potranno acquistare quote di partecipazione della governance di Bankitalia), dunque, e uno scippo agli italiani. «Non vorremmo che al danno si aggiungesse un’ulteriore beffa: l’esproprio delle riserve auree, un bene accumulato con il sudore degli italiani e che, in quanto tale,  è e deve essere inalienabile», spiegava Meloni presentando l’ordine del giorno, poi bocciato dall’aula, per ribadire che «l’oro della Banca d’Italia (100 miliardi di euro) è di proprietà del popolo italiano».

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