L’incomprensibile silenzio a sessant’anni dalla rivolta per Trieste italiana

5 Nov 2013 18:37 - di Marcello De Angelis

Esattamente sessant’anni fa gli studenti di Trieste, ancora sotto occupazione inglese e controllata da una polizia “etnica” slava, si  mobilitarono per dimostrare il proprio attaccamento all’Italia con dimostrazioni patriottiche represse nel sangue dalle forze di occupazione. Ci furono sei morti in due giorni di scontri che coinvolsero alla fine quasi tutta la cittadinanza. Su quei morti scomodi si cercò di far calare il silenzio come si era fatto per le foibe. Fu necessario attendere fino al 2004, con Ciampi presidente della Repubblica, per far riconoscere il sacrificio dei cittadini triestini con una medaglia d’oro alla memoria. In un anniversario così importante ci si sarebbe aspettati qualche cerimonia di rilievo o almeno una mobilitazione culturale. Sarebbe stata l’occasione ottimale per aprire una riflessione storica doverosa e mai approfondita anche su ciò che significò quella rivolta per il resto della cittadinanza italiana che, dinanzi a quella orrenda strage, sentì risvegliarsi il proprio senso di appartenenza nazionale per la prima volta dopo la fine della guerra. Il movimento che vide scendere in piazza centinaia di migliaia di studenti in ogni città d’Italia fu il primo della storia della Repubblica ed è da quel movimento che prese il via la destra giovanile in Italia. Ai nostalgici e agli antifascisti conviene pensare che la destra nazionale, con il Msi, non sia stato altro che il mantenimento sotto spirito degli avanzi di Salò, rinnovatisi per partenogenesi di generazione in generazione. Al contrario, fu per i morti di Trieste che i giovani italiani si sentirono per la prima volta chiamati alla protesta spontanea, fuori dalle istituzioni e fuori dai partiti, uniti non da un’ideologia o da una campagna di sensibilizzazione esterna, non mobilitati dalla stampa o dagli intellettuali, ma mossi dal di dentro da una identificazione profonda con altri giovani che sentivano di appartenere alla stessa Patria, alla quale la volontà dei vincitori voleva strappare loro e la loro città. Al tempo i giovani politicizzati appartenevano a organizzazioni controllatissime come era quella paramilitare dei pionieri del Pc e quella confessionale dell’azione cattolica. Il resto dei giovani, la maggioranza, si ritrovò in quel movimento per Trieste italiana che era senza leader, senza ideologia, senza confessionalità, laico, irriverente e assolutamente genuino. Il Male assoluto era allora facilmente identificabile ed era quel mostro che massacrava i popoli e gli toglieva la libertà, partendo da Mosca e fin dentro le nostre città. Come nello stesso anno a Berlino e poi a Budapest nel ’56 e più di un decennio dopo a Praga. La maggioranza dei giovani che scesero in piazza per Trieste aveva del Fascismo solo un ricordo d’infanzia, poi sommerso dalla guerra e dalla sconfitta. L’Italia invece c’era ancora e al sua richiamo risposero spontaneamente.

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