Le domeniche a piedi 40 anni dopo: oggi gli italiani sono “appiedati” lo stesso, ma molto più impauriti

19 Ott 2013 20:54 - di Antonella Ambrosioni

Biciclette, pattini, monopattini, genitori e ragazzi insieme, grandi e piccoli, con berretti, sciarpe e guanti. Infreddoliti, stralunati ma non disperati. Gli archivi ci consegnano istantanee più o meno colorate, più o meno festose di quel dicembre del 1973, quando gli italiani scoprirono l’Austerity in seguito all’aumento dei prezzi innescato dalla crisi petrolifera dovuta alla guerra del Kippur. Tra le conseguenze vi fu il divieto la domenica di circolare in auto per risparmiare carburante: nacquero così le “domeniche a piedi” e i mille espedienti grazie ai quali gli italiani lasciavano le auto a casa. Le domeniche a piedi compiono esattamente 40 anni, ma gli italiani a piedi ci vanno lo stesso. Per motivi diversi. A generare quello che è stato il momento più critico nella storia della motorizzazione nel nostro Paese fu, nell’ottobre 1973, la guerra arabo-israeliana dello Yom Kippur (6-25 ottobre) che portò all’embargo decretato dall’Opec. Le “domeniche a piedi”, insieme con gli altri provvedimenti presi dal governo Rumor in tema di circolazione, furono la reazione alla crisi dei carburanti e determinando una situazione di crisi del mercato automobilistico superata solo da quella attuale.

Solo che oggi non c’è nulla che possa somigliare a quella crisi di 40 anni fa e a indurre gli italiani a lasciare la macchina parcheggiata è qualcosa di più profondo e dolente. Quarant’anni fa c’era la prospettiva di un miglioramento, di un superamento del momento critico. La dimensione del sogno non era venuta meno. Forse per questo in quelle istantanee che oggi vengono riproposte si intravedono sorrisi e un pizzico di ironia nello sfoggiare bici e pattini colorati. Prima o poi finirà. Oggi sorrisi non se ne vedono. Non ci sono nelle strade, nei supermercati, negli hard-discount, nei centri commerciali con la metà degli esercizi chiusi, nei luoghi di lavoro. “Vendo tutto”, “Svendita totale”, si legge in molti dei negozi ancora aperti.  Oggi quell’Austerity si chiama recessione e le prospettive, con le misure depressiogene messe in campo in questi anni, non inducono a sperare che passi presto. Ed è proprio l’incertezza a creare effetti depressivi anche in chi magari qualche soldo da parte ce l’ha. Si tratta di una recessione interiorizzata negli stili di vita, maldigerita a forza per effetto del governo Monti che ha infierito sulla crisi globale in modo devastante. Solo mettendo qualche soldo in tasca alle famiglie, come imploravano sindacati e associazioni, i consumi avrebbero potuto essere salvaguardati. Invece le misure solo rigoriste del governo tecnico, lungi dal dare sicurezza, hanno provocato arroccamento, paura, incertezza a tutte le latitudini generazionali. I vecchi e i giovani andavano a spasso insieme, in bici o per mano, durante le famose domeniche a piedi. Ora no, sono su posizioni inconciliabili. Difficile disinnescare  la spirale perversa provocata dall’era montiana, che ha tracciato un solco profondo, come stiamo verificando giorno dopo giorno in tempi di Trise, di Iva aumentata, di superbolli, di assicurazioni alle stelle. In tempi in cui si lesina sulle cure odontoiatriche per i figli, come si può ipotizzare di prendere la macchina? Piuttosto, una famiglia che ne ha due, ne vende una. Il 2 dicembre del 1973 arrivò la prima domenica di stop alle auto. Per quella data, 40 anni dopo, in prossimità di un Natale “magro”, saranno molti gli italiani che andranno a piedi loro malgrado, senza Opec, senza crisi petrolifera, ma con molta molta paura.

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