Strage di via D’Amelio, i pm di Messina chiedono l’archiviazione sui depistaggi per gli ex-colleghi Petralia e Palma

5 Giu 2020 16:27 - di Roberto Frulli

Archiviazione dell’inchiesta sul depistaggio della strage di Via D’Amelio, aperta a carico degli ex-pm Carmelo Petralia ed Annamaria Palma.

È la richiesta formulata dalla Procura di Messina. Che solleva, così, i due ex-magistrati dall’accusa infamante di aver contribuito a depistare le indagini sulla strage in cui morirono Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta.

Le due toghe, infatti, facevano parte del pool di magistrati che coordinò l’inchiesta sull’attentato costato la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta.

Ad Annamaria Palma e Carmelo Petralia si contestava il reato di concorso in calunnia aggravato dall’avere favorito Cosa nostra.

In particolare ai due pm era contestato, in concorso con tre poliziotti che sono tuttora sotto processo a Caltanissetta, di aver depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio. Quando Cosa Nostra fece esplodere un’autobomba sotto casa della mamma di Paolo Borsellino che, quel giorno, il magistrato era passato a trovare.

Il depistaggio sulla strage di via D’Amelio sarebbe avvenuto, secondo la ricostruzione dei magistrati, “imbeccando” tre falsi pentiti, tra cui Vincenzo Scarantino, (nella foto). E suggerendo loro di accusare dell’attentato persone ad esso estranee.

La falsa verità, a cui per anni i giudici hanno creduto, è costata la condanna all’ergastolo a 7 persone.

La Procura di Messina ha aperto l’inchiesta dopo che i colleghi di Caltanissetta, un anno fa, trasmisero all’ufficio inquirente messinese la sentenza del processo “Borsellino quater”.

Era la prima volta che una sentenza parlava apertamente del depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio.

Nel 1994 un poliziotto della Scientifica di Palermo, Bartolo Iuppa – all’epoca fidanzato di Lucia Borsellino, figlia del magistrato – ricevette la visita di due poliziotti che lavoravano con lui.

I due colleghi gli dissero che non volevano sottostare ai diktat del capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera. Che voleva imporre a Vincenzo Scarantino le dichiarazioni da rendere sulla stragi di via D’Amelio.

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