Dal convegno del Cis su Giaquinto un appello: ritrovare l’unità della destra

11 Gen 2019 11:52 - di Antonio Pannullo

In occasione dei 40 anni dell’assassinio del giovane missino Alberto Giaquinto si è svolto al Cis (Centro Iniziative Sociali) di via Etruria un convegno in ricordo del giovane 17enne, colpito alla nuca da un poliziotto della polizia politica. Il giovane attivista dell’Eur aveva appena partecipato insieme con alcune decine di suoi camerati a una cerimonia in ricordo dei giovani di Acca Larenzia a Centocelle. Quel giorno, essendo come al solito stata vietata dalla questura ogni manifestazione del Msi, i giovani avevano deciso di effettuare alcuni brevi flash mob, come si direbbe oggi, in varie zone della città, e una di queste era la zona-simbolo di Centocelle. Al convegno, voluto da Domenico Gramazio, segretario del Cis, ha partecipato il senatore Maurizio Gasparri, testimone diretto dei fatti in quanto all’epoca era segretario provinciale del Fronte della Gioventù (l’organizzazine giovanile del Movimento Sociale Italiano), Adalberto Baldoni, giornalista e scrittore di molti volumi sulla storia del Msi, nonché all’epoca capocronista del Secolo d’Italia, l’organo ufficiale del Msi, e naturalmente lo stesso Domenico Gramazio, protagonista dell’attivismo romano, dirigente nazionale del partito, insomma memoria storica di quegli anni difficili. Dopo una breve introduzione di Gramazio, che ha ricordato che il Cis è intitolato proprio ad Alberto Giaquinto su proposta di Angelo Mancia, valoroso attivista del Msi, assassinato dagli antifascisti della Volante Rossa il 12 marzo del 1980, ha parlato Maurizio Gasparri, che ha dolorosamente ripercorso quella drammatica giornata di 40 anni fa, descrivendone il clima surreale, oggi incomprensibile, e ricordando che in quei giorni erano andati insieme, con Giaquinto e altri, a distribuire volantini e a svolgere attività politica. Finito l’appuntamento e tornati in sezione, Gasparri riceve la notizia che qualcosa era successo a Centocelle e che un ragazzo era rimasto ferito o ucciso. Gramazio ha ricordato a questo proposito che la prima notizia parlava di una macchina esplosa e di un ragazzo rimasto ucciso,sempre per dare la colpa ai missini che avevano incendiato le auto, cosa ovviamente non vera. Dopo aver raccontato le vicende drammatiche di quegli anni, Gasparri si è rammaricato del fatto che oggi le commemorazioni, pur giuste e sacrosante, siano però così spezzettate: “Perché in fine dei conti quei morti sono morti missini, era gente che noi avevamo conosciuto e con la quale avevamo condiviso tutto”. Della stessa opinione Adalberto Baldoni, che prima di essere uno scrittore, uno storico, è stato un giornalista militante e un attivista della zona di MonteSacro ma non solo: Baldoni non riesce a comprendere come mai in occasione dei 41 anni della strage di Acca Larenzia vi siano state diverse commemorazioni: una la mattina, una il pomeriggio, una la sera: “Come è possibile che di fronte a un fatto di questa portata, la destra si sia polverizzata in mille rivoli: noi, al tempo, eravamo tutti uniti di fronte al nemico comune che era la sinistra e il sistema che la appoggiava”. Anche Baldoni ha rievocato quella drammatica giornata, così come quella di Acca Larenzia. Va ricordato che allora i telefonini non c’erano, e che tutte le notizia arrivavano dal telefono fisso, con le immaginabili difficoltà collegate: la persona cercata non era in sede, era occupato, non prendeva la linea, non si trovava un telefono, per cui le notizie arrivavano non in tempo reale. Addirittura – hanno ricordato Baldoni e Gramazio – per Acca Larenzia i primi lanci di agenzia parlavano di un assalto a piazza Tuscolo, ossia la sezione del Msi Appio Latino Metronio dove lavorava Gramazio, mentre era il Tuscolano, ossia la sezione di via Acca Larenzia. Il giovane cronista Baldoni fu così inviato da una parte all’altra, prima di capire a fondo la tragedia, anzi le tragedie, che erano avvenute quella sera.

Anni difficili, pericolosi, resi drammatici dal fatto – come hanno sottolineato più volte tutti i relatori – che verso i ragazzi del Msi c’era una vera e propria persecuzione organizzata, da parte del regime e della stampa, che non persero mai occasione per calunniare, diffamare, perseguitare la destra e suoi esponenti. Certa stampa, poi si distinse particolarmente per infamia, a cominciare dalla strage di Primavalle dove si voleva a tutti costi che la strage fosse frutto di una faida interna all’Msi: non era così, la strage di un ragazzo e di un bambino fu compiuta dai comunisti ricchi di Potere Operaio, ma lo si accertò solo molto dopo che il fango era stato gettato sui missini. Così per Giaquinto: la polizia e la stampa dissero che era armato, cosa falsa, che il poliziotto si era difeso, che Giaqunto era un soggetto pericoloso. Gramazio ha ben sottolineato che se la verità è venuta a galla fu solo per merito di Teodoro Giaquinto, il padre di Alberto, che non fidandosi del Viminale – che non rispondeva neanche ai parlamentari del Msi! – ricorse alla collaborazione degli investigatori privati, che in pochi giorni ascoltarono centinaia di testimoni sia tra i dimostranti sia tra gli abitanti e i negozianti della zona e giunsero alla verità. Verità che fu sbattuta in faccia al governo da Giorgio Almirante, in uno degli interventi più duri della sua carriera parlamentare. E vergogna nella verogna, i giovani che andarono alla polizia per denunciare l’assasinio di Giaquinto, venivano immediatamente denunciati  per manifestazione non autorizzata. Così, grazie non certo ai nostri inquirenti o alle istituzioni, la verità venne a galla, il poliziotto fu simbolicamente condannato e dopo un lungo processo lo Stato riconobbe in indennizzo alla famiglia, che fu un’assunzionedi responsabilità e un’implicita ammissione di colpevolezza. La famiglia lo rifiutò e allora l’avvocato difensore utilizzò quella cifra per costruire la tomba dove oggi Alberto riposa. In conclusione, merito a chi ancora oggi ricorda quelle vicende: Baldoni con i suoi scritti e Gasparri e Gramazio per la lor sensibilità verso una comunità e la sua lotta, una comunità che quarant’anni dopo è ancora legata e coesa, anche se i componenti hanno scelto strade anche molto diverse. Grazie quindi di cuore a Baldoni, Gasparri e Gramazio per aver impedito che la memoria dei nostri caduti cadesse nell’oblìo a cui gli antifascisti di ogni tipo l’avevano destinati.

In serata, a Centocelle, circa 300 giovani hanno ricordato Alberto Giaquinto proprio nel luogo dove cadde, tributandogli il “Presente!”. Lwe forze dell’ordine hanno immediatamente blindato la zona, anche perché qualche decina di antifascisti ha inscenato una vergogno sa manifestazione di protesta, contro cosa non sia sa, giacché i giovani hanno solo commemorato il loro camerata caduto 40 anni fa. La cerimonia si è conclusa senza incidenti e senza provocazioni.

Commenti

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  • Paolo 11 Gennaio 2019

    Un altra vittima del clima d odio è perbenismo che ha armato molte mani a partire da chi uccise il commissario calabresi fino a tutta la scia di sangue degli anni 70 per la verità data la mia età non mi ricordavo di Alberto ma una carezza e un pensiero per il suo coraggio e ‘ si a essere di destra in quegli anni bisognava avere un grandissimo coraggio.