Natale, è sempre meno festa tra chiese vuote e censure a Gesù

4 Dic 2018 20:32 - di Redattore 54

C’è un racconto di Gabriele D’Annunzio, sul tempo di Natale, che pochissimi conoscono e che tuttavia appare utilissimo oggi per esprimere quella patina di nichilismo e disillusione che da decenni ormai sta impolverando la festa della Natività. D’Annunzio non era certo uno spirito religioso e devoto. Fatta questa premessa doverosa, ecco che cosa racconta: la storia narra di una coppia di poverelli, così miseri da non avere una casa né pane alla vigilia di Natale. Pure, in quella santa notte, i due incontrano un gatto, e con lui condividono quel po’ di lardo che è stato dato loro come elemosina. Il gatto li conduce in una capanna abbandonata e i due poverelli tendono le mani verso il focolare nero. Sono senza fuoco, e sempre più disperati finché non vedono nel focolare due tizzoni, al cui calore si scaldano per tutta la notte ringraziando Gesù per averli soccorsi. Solo al mattino si accorgono che i due tizzoni sono solo gli occhi del gatto randagio che dice loro: “Il tesoro dei poveri è l’illusione”. E’ chiaro in questa novella lo spirito anticristiano e vagamente nicciano che D’Annunzio intende infondere al racconto. Tuttavia essa, rapportata ai nostri giorni, è la perfetta metafora di come si festeggia il Natale consumistico, ridotto ormai alla stregua di un Black Friday, illudendosi di percepirne la magia e la spiritualità ma sbagliando totalmente la prospettiva. Gli occhi del gatto sono come monete d’oro che ci danno l’illusione del miracolo ma in realtà ci lasciano nel nostro gelo.

Illusi anche noi, quindi, con i panettoni che arrivano nei supermercati già ai primi di novembre, i pandori in offerta, le luminarie per attrarre turisti e consumatori (dove non si vede mai un angelo, mai una stella cometa, mai un simbolo che rimandi a quello straordinario evento religioso che è il Natale), l’albero fatto nelle case prima dell’inizio del ciclo dell’Avvento, le pubblicità caramellose e tutto quell’insieme di atteggiamenti e scelte (tra cui il Gesù censurato dalla canzone di Natale) che deformano la festa, la stravolgono e la riducono a festa dei buoni sentimenti. Massimo Cacciari lo ha giustamente definito il “non Natale”. Un non Natale che è anche figlio della mancanza di pazienza, del non sapere attendere il giusto tempo, del non sapere percepire più la differenza tra il tempo sacro e quello profano

Un non Natale che quest’anno si celebra subito dopo il triste annuncio delle chiese vuote e destinate ad essere dismesse. Un inequivocabile segno dei tempi. Qualcuno ci vedrà forse la vittoria di una laicità che fa del materialismo la sua missione più alta (o più bassa, a seconda dei punti di vista). Altri, più correttamente, ci vedono l’incedere dell’incapacità di dare significato superiore all’esistenza. 

La Natività è un evento che fonda la storia del nostro tempo, per questo appare ridicolo ogni tentativo di distorcerne il significato. “Ciò che avvenne a Betlemme – scrive lo studioso russo Nikolaj Berdjaev, esiliato nel 1922 da Lenin – condizionò tutta la storia universale. Mentre a Roma, in Egitto e in Grecia si compivano i processi di riunificazione, si costituiva un’unità universale di popoli e di culture in un’unica umanità ecumenica, in un punto apparentemente non centrale avvenne la comunicazione suprema del Divino, la rivelazione suprema e la riunificazione dei processi dall’alto e dal basso, dei processi riuniti dalla corrente della storia antica in un unico fiume universale”.

Ogni rilettura di un evento che è l’Evento non può che passare da qui, dalla sua eccezionalità e dal suo essere irripetibile, dal suo essere mistero e dal suo essere rivelazione. E tanto più appaiono prive di senso le riletture in senso multiculturale del Natale che, in quanto fondamento di una storia universale, comprende già in sé tutte le culture e le supera. Joseph Ratzinger  ha parlato del Natale come del “solstizio d’inverno” della storia dell’uomo: “È questo il senso vero del Natale: è il “giorno di nascita della luce invitta”, il solstizio d’inverno della storia del mondo che, nell’andamento altalenante di questa nostra storia, ci dà la certezza che anche qui la luce non morirà, ma ha già in pugno la vittoria finale. Il Natale scaccia da noi la seconda e più grande paura, quella che nessuna scienza fisica può fugare: è la paura per l’uomo e di fronte all’uomo stesso. È una certezza divina, per noi, che nelle segrete profondità della storia la luce ha già vinto e tutti i progressi del male nel mondo, per grandi che siano, mai potranno assolutamente più cambiare il corso delle cose. Il solstizio d’inverno della storia è irrevocabilmente accaduto con la nascita del bambino di Betlemme”.

(la foto pubblicata è di Marco Iacona, ed è stata scattata nei giorni scorsi nel centro di Catania)

Commenti

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  • Giuseppe Tolu 6 Dicembre 2018

    A Francè, fossi in te penserei a come riempire, di fedeli, le chiese vuote; per vendere poi e dare ai poveri, ci avresti dovuto pensare prima. Un’altra cosa, se fai il presepe a San Pietro, mi raccomando, non mettere il bambinello Gesù, i mussulmani non lo gradirebbero, e così per il prossimo anno tranquillo che ci sarà pure il Vaticano in vendita, garantito.

    • Giuseppe Tolu 8 Dicembre 2018

      Che non sia la scusa giusta per vendere ai mussulmani !?