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Vulci, riemerge la Kore: la scoperta che riannoda i legami sacri tra Grecia ed Etruria
La bellissima testa di Kore ritrovata a Vulci e presentata nei giorni scorsi è una scoperta particolarmente significativa, perché ci aiuta a leggere in modo più definito la storia etrusca e dà la misura di una visione culturale che già 2500 anni fa era decisamente cosmopolita.
La scultura è un raffinato esempio di arte attica e risalirebbe ai decenni del V secolo a.C.. È realizzata in marmo cicladico e presenta una cura formale che richiama i grandi atelier di Atene: il volto delicato, l’elaborata capigliatura, la qualità della fattura, testimoniano una produzione che certuni non si sarebbero aspettati di trovare nel cuore dell’Etruria. Eppure, proprio il fatto stesso che una scultura greca, probabilmente creata in un ambiente artistico elevato, sia stata rinvenuta in un sito etrusco, lontano dalle colonie della Magna Grecia, rappresenta un elemento che ci permette di inquadrare più da vicino il contesto storico e culturale del tempo.
Vulci, infatti, era una metropoli che manteneva rapporti con diverse aree del Mediterraneo e anche con la Grecia. La sua posizione spiega, almeno in parte, l’eccezionalità del ritrovamento: già dall’VIII secolo a.C., la città era un crocevia in cui merci e idee si muovevano con assoluta naturalezza, un centro vitale del mondo antico: «Non a caso questo avviene a Vulci – ha sottolineato il ministro della Cultura Alessandro Giuli – una città aperta ai contatti attraverso il suo porto, recentemente acquisito dal ministero della Cultura, e attraverso l’entroterra dove già dal periodo orientalizzante, dalla fine dell’VIII secolo a.C., tutti gli oggetti, ma soprattutto i rituali, ora ricostruibili grazie a nuovi strumenti diagnostici per l’archeologia, ci confermano un dinamismo, una permeabilità culturale che ancora oggi devono rappresentare e rappresentano i nostri modelli». È proprio questa natura di snodo, di luogo dinamico, a rendere più che plausibile la presenza di un’opera attica di altissimo livello all’interno di un santuario etrusco. A portarla alla luce sono stati gli scavi del progetto internazionale Vulci Cityscape, condotto dalle università di Friburgo e Magonza – in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e per l’Etruria meridionale e con la Fondazione Vulci – in un’area dove nel 2021 è stato identificato un nuovo tempio monumentale, dunque all’interno di un perimetro sacro, scoperto da non molto e di cui non si conosce ancora la divinità di riferimento.
La Kore potrebbe essere la testimonianza di un donario, un’offerta votiva, una dedica a questo santuario, che conferma, del resto, come la civiltà etrusca non fosse affatto chiusa in se stessa, ma protagonista attiva della storia mediterranea. Il suo territorio, del resto, già ricco di influenze di varia provenienza, dimostra di avere ospitato anche scultori greci o, come in questo caso, di avere intrattenuto rapporti diretti con botteghe dell’Egeo. È un’immagine complessa, vivace, universale, che contraddice definitivamente l’idea – talvolta ancora persistente – di un Mediterraneo antico segmentato e impermeabile. Peraltro, nel medesimo ambito sono stati già rinvenuti vasi in ceramica e altri reperti di fattura greca, che testimoniano l’interesse delle elités etrusche per la cultura e per l’arte proveniente dai territori d’Oriente. Questo ritrovamento, peraltro, apre a scenari di ulteriore interesse, perché ci richiama al fatto che le relazioni non fossero solamente commerciali, ma anche religiose e rituali. Ed è per questo che «Il ritrovamento della testa di Kore a Vulci – ha aggiunto il Ministro Giuli – è un evento di straordinario rilievo sia per il valore artistico sia per le implicazioni che reca con sé. Non è stato rinvenuto semplicemente un dono votivo di prestigio, ma una testimonianza concreta dei legami spirituali e dunque politico-civili che univano l’Etruria e il mondo greco. Si tratta di una scoperta archeologica che può modificare la nostra percezione del mondo come accadrebbe con una nuova legge scientifica. Rimodella la nostra rappresentazione della realtà dal punto di vista conoscitivo, simbolico e anche politico».
Dunque, la scoperta è un tassello rivelatore, perché contribuisce ad arricchire la narrazione di Mediterraneo antico, nel quale identità diverse dialogavano e si nutrivano reciprocamente. Ulteriori elementi di conoscenza potranno essere forniti dall’Istituto Centrale per il Restauro di Roma, dove attualmente la testa è ospitata per essere studiata e restaurata: le analisi consentiranno di ottenere informazioni preziose sul manufatto e sul mondo che l’ha prodotta.
Questa scoperta avrà ricadute importanti anche per il Parco archeologico di Vulci, un luogo nel quale archeologia, storia e paesaggio rappresentano un unicum inscindibile, così come confermato da Alfonsina Russo, Capo Dipartimento per la valorizzazione del patrimonio culturale del Mic: «Il Parco Archeologico Naturalistico di Vulci è un’area straordinaria dove la bellezza del paesaggio e la profondità della storia si intrecciano in un dialogo continuo, capace ancora oggi di restituirci la voce di una civiltà importantissima nel Mediterraneo, quale quella etrusca. Attraverso questa testa di Kore, sarà possibile promuovere non solo Vulci ma anche il territorio a livello nazionale e internazionale. Un nuovo modo di valorizzare che va in un’unica direzione, che è quella di continuare a fondarsi su una strategia integrata che unisca ricerca archeologica, tutela del paesaggio, innovazione dei linguaggi espositivi, reti internazionali e partecipazione delle comunità locali».
La Kore di Vulci, dunque, non rappresenta solo l’emergere di una bellezza antica: è un volto di pietra che, dopo millenni, manifesta un legame mai sopito, spirituale, sacro. E può indicare all’Italia una direzione culturale precisa, perché ci permette di “pensare futuro” nell’ottica di una dimensione mediterranea che è tutt’altro che storicizzata, ma che rappresenta, oggi come nel passato, il destino della nostra Terra.