Fede e martello
Torino, mancava solo la super moschea: tra ombre sui fondi e lo spettro di una Askatasuna 2.0, i residenti italiani a rischio esodo
Tra Barriera di Milano e Porta Palazzo incombe il progetto di un colosso con budget stimato da 17 milioni di euro. Il centrodestra incalza la giunta Lo Russo sulla trasparenza dei finanziamenti e sul pericolo di nuove derive radicali
Nel giorno della Vigilia e nelle ore del Santo Natale, eccoci nuovamente a parlare di un caso che investe ancora una volta la città di Torino sul tema luoghi di culto e minaccia alla sicurezza. Sì, perché non bastavano caos pro-Pal e devastazione antagonista a scatenare i fondamentalisti della guerriglia urbana di stampo centro sociale, ora la palla passa ad altri schemi e altri protagonisti sulla linea della rivendicazione che confina sensibilmente con quella di fuoco della “sicurezza”.
Torino, ombre sulla “super moschea”: un gigante da 17 milioni nel cuore della città
Così, mentre Torino fatica a ritrovare una chiara identità sotto la giunta Lo Russo, all’orizzonte si profila un emblematico cambiamento radicale dello skyline cittadino. Nel 2026 inizieranno i lavori per quella che si preannuncia come la più grande moschea d’Europa: un complesso monumentale – spiega oggi Il Giornale sul suo sito con un esaustivo servizio sul punto – che si staglierebbe per 1.300 metri quadrati dominato da un minareto che sovrasterebbe dall’alto di 20 metri. E all’interno del quale, segnala il quotidiano citato, «sorgerà anche uno studentato con 80 posti letto».
Insomma, una costruzione – e un insediamento – che non si racchiuderebbe concettualmente solo all’interno del quadrante cittadino… O meglio: non solo un luogo di culto, ma un polo d’attrazione transnazionale che, per dimensioni e posizione geografica, guarda pericolosamente oltre il confine francese, verso quel modello di “banlieue” che già tanti danni ha arrecato alla sicurezza d’oltralpe.
L’enigma dei finanziamenti
Ma non è ancora tutto. Il vero nodo della questione, non a caso sollevato con forza dal centrodestra, e in particolare da Forza Italia con un’interpellanza di Federica Scanderebech, riguarda la trasparenza. Per un’opera dal budget stimato di 17 milioni di euro, il solo contributo del Regno del Marocco non sembra bastare a coprire l’intero investimento. E la domanda sorge spontanea: c i sono i finanziatori privati che si muovono nell’ombra? Sì, perché in questo contesto, la tracciabilità delle risorse non è un semplice dettaglio burocratico a piè di pagina, ma una questione di sicurezza nazionale, necessaria per scongiurare influenze di Paesi o organizzazioni vicine all’integralismo religioso.
La super moschea di Torino e il rischio di una “Askatasuna 2.0”
Il timore più concreto, che non a caso sottolinea e rilancia come spunto di riflessione principale Il Giornale, è che questa enorme struttura possa trasformarsi in un nuovo catalizzatore di tensioni. Torino, come noto, ha appena iniziato a respirare dopo la parabola incendiaria di Askatasuna, per decenni “cattedrale dell’antagonismo violento” senza tetto né legge. Il rischio allora, oggi, è che il vuoto lasciato dai centri sociali venga colmato da un nuovo polo di aggregazione che, sotto il velo dei “servizi” e dello studentato annesso, possa diventare terreno fertile per derive radicali.
Pertanto, non è poi così fantapolitico immaginare che, in una città già segnata dagli scontri tra antagonisti e frange pro-Pal, la nascita di una cittadella islamica tra Barriera di Milano e Porta Palazzo rischia di accelerare la diaspora degli ultimi residenti italiani, consegnando interi quartieri a un isolamento culturale e linguistico senza ritorno. Con buona pace di integrazione e melting-pot. Ebbene, a dubbi e interrogativi che l’intero progetto – e le sue diramazioni sociali – comportano
l’amministrazione Pd avrebbe il dovere di rispondere: Torino ha bisogno di integrazione reale, non di cattedrali nel deserto che parlano lingue straniere e si finanziano con fondi da decriptare e resocontare.