Un promemoria per i compagni
Mughini “scandaloso” contro i censori: «Ho letto Degrelle ed Evola e ne sono contento. Tanti antifascisti sono diventati criminali»
Lo scrittore ricorda che il rifiuto di alcuni autori corrisponde al rifiuto di capire i fenomeni e la complessità del reale. E anche a sinistra ci sono libri che sono «pura monnezza»
Giampiero Mughini interviene sulla questione dei tentativi di censura a “Più libri Più liberi”, raccontando perché è rimasto «stupito» dalla «virulenza» delle lamentele per la presenza alla fiera di Passaggio al bosco, avvertendo che per capire i fenomeni e la complessità del reale non ci si può limitare all’orticello sicuro delle proprie convinzioni e smontando tutto il can can di questi giorni con una semplice constatazione: se un libro suscita «orrore» semplicemente si può evitare di comprarlo. Ma il giornalista e scrittore fa anche qualcosa in più: lancia un monito alla sinistra su quanto sia pericolosa la strada dell’ideologia cieca, che rifiuta il confronto con l’altro da sé. «In tanti della mia generazione nel diventare antifascisti divennero dei criminali e degli assassini e non si limitarono a parlare male dei giornalisti antifascisti, al possibile – scrive – li uccisero».
Mughini: «Ho letto Degrelle e ne sono contento. Céline e Brasillach vi dicono qualcosa?»
«Non so esattamente quali fossero i titoli di questi libri» contestati, chiarisce Mughini nell’articolo pubblicato dal Foglio. «Alcuni giornali hanno citato un libro francese dell’anteguerra, a firma Léon Degrelle, un libro che sono contento di aver letto ai tempi dei miei studi universitari», prosegue, ricordando che «erano gli anni Trenta quelli raccontati da Degrelle, ed erano anni in cui in Francia la cultura di destra era fiorente. I nomi di Louis-Ferdinand Céline e di Robert Brasillach vi dicono qualcosa? Vorrei ben vedere che qualcuno si rifiutasse di leggerli, e tanto per citare due scrittori famosi». «Se volete capire un minimo della storia francese dagli anni Trenta sino alla fine della Seconda guerra mondiale, con quella cultura dovete fare i conti», è l’avvertimento dello scrittore, il quale sottolinea che questo vale per la Francia come per tutti i Paesi. Italia compresa.
Il fascismo «è stato una realtà di uomini e pensieri compiuti, non un crimine punto e basta»
Mughini cita «i romanzi di Romano Bilenchi e di Curzio Malaparte dell’anteguerra quando erano sufficientemente fascisti, e anche se nel Dopoguerra saltarono entrambi il guado e divennero di sinistra. Bilenchi al punto da dirigere un quotidiano comunista fiorentino. Ovvio che entrambi vanno letti prima e dopo». «Il fascismo italiano purtroppo è stato una realtà di uomini e di pensieri compiuti, non un crimine punto e basta», ricordando che il padre si sposò in camicia nera, mentre lui è uno che «a vent’anni digrignava i denti quando sentiva odor di fascismo e meno male che mi sono fermato a quello. In tanti della mia generazione nel diventare antifascisti divennero dei criminali e degli assassini e non si limitarono a parlare male dei giornalisti antifascisti, al possibile li uccisero».
Evola? «Eccome se va letto»
Si tratta di storia recente, prosegue ancora, che «proprio per questo va capita in tutte le sue sfumature», leggendone quanto più possibile. E qui la citazione rischia di essere, per i gendarmi del pensiero, scandalosa forse più di quella di Degrelle: Julius Evola, che per Mughini non fu solo «un nome sacro alla destra», ma «uno che ci mise del suo nel far diventare dei criminali alcuni ventenni». «Ebbene – avverte – eccome se Evola va letto. Eccome». «Fossi – aggiunge – in voi non mi lascerei sfuggire il libro che gli ha appena dedicato il mio amico Guido Andrea Pautasso, uno che di certo non è sospettabile di simpatie destrorse, e bensì è uno che vuole sapere e capire il mondo com’è andato nel Novecento».
Un promemoria sui libri che sono «pure monnezza»: «Ce n’era tanta ai tempi in cui il maoismo fioriva a sinistra»
Quanto ai libri che sono «pure monnezza» lo scrittore ricorda che sono equamente distribuiti tanto a destra quanto a sinistra e che «di monnezza ce n’era tanta ai tempi in cui il maoismo fioriva a sinistra e con molti dei miei amici i rapporti si avvelenarono da quanto le sparavano grosse forti di quel maledetto libretto “rosso” fuoco». «Ed è questo che non perdono alla cultura di cui si stava nutrendo una parte della mia generazione, il boato di faziosità in cui era caduta. Bastava una parola che fosse loro sgradita e si rompevano amicizie di cui avresti detto che erano incise nel marmo. Ricordo una a una le parole che avevano cominciato a usare nei miei confronti, le parole con cui mi definivano. Ivi comprese – conclude Mughini – quelle di una ragazza bionda cui avevo talmente tenuto nei miei vent’anni».