CERCA SUL SECOLO D'ITALIA

Cina dazi formaggi

Contenti e daziati

Mani tese all’Europa, poi la Cina alza i dazi sui formaggi. Perché la sinistra critica Trump e applaude Pechino?

Tariffe fino al 42,7% sui prodotti lattiero-caseari europei e un deficit commerciale che supera i 280 miliardi. Così mentre agricoltori e imprese pagano, Prodi, D’Alema e compagni continuano a tessere l’elogio del Dragone

Esteri - di Alice Carrazza - 23 Dicembre 2025 alle 11:29

Buongiorno Europa, ci si sveglia presto. E ci si sveglia male. Con la voce monocorde di Bruxelles che “prende atto con preoccupazione” mentre qualcun altro, dall’altra parte del mondo, presenta il conto. È la Cina che ora impone i dazi. «Misure ingiustificabili», brontola Olof Gill, portavoce della Commissione Ue. «Faremo il possibile per difendere i nostri agricoltori», dice ancora. Peccato che arrivi tutto a danno fatto.

La mossa di Pechino

Il caro Xi Jinping avrebbe deciso di applicare dazi anti-sovvenzioni “provvisori” su alcuni prodotti lattiero-caseari importati dall’Unione Europea. Le aliquote sono tutt’altro che simboliche: dal 21,9% fino al 42,7%. Pronte ad entrare in vigore immediatamente. La conferma definitiva arriverà il primo febbraio 2026, ma nel frattempo il mercato viene colpito oggi.

Nel mirino finiscono formaggi freschi e lavorati, erborinati, oltre a specifiche tipologie di latte e panna. L’indagine anti-sovvenzioni è stata avviata dalle autorità cinesi nell’agosto 2024, ufficialmente su richiesta della China Dairy Association. Ufficiosamente, come risposta diretta a Bruxelles, che proprio in quei giorni annunciava dazi elevati sui veicoli elettrici prodotti in Cina. Diplomazia commerciale in versione ritorsiva.

Il ministero del Commercio di Pechino non lascia spazio a interpretazioni: «Le autorità inquirenti hanno stabilito in via preliminare che i prodotti in questione, importati dalla Ue, hanno beneficiato di sussidi, che l’industria lattiero-casearia cinese ha subito un danno sostanziale e che esiste un nesso causale tra questi sussidi e il danno osservato». Insomma, sentenza anticipata, processo a senso unico.

L’Italia nel mirino

Per l’Italia il colpo rischia però di essere particolarmente doloroso. «Il valore dell’export di formaggi italiani in Cina è triplicato negli ultimi 5 anni e la mossa di Pechino rischia di pesare sulle potenzialità di crescita del settore sul mercato asiatico, ennesimo episodio di una guerra commerciale che sta danneggiando il settore agroalimentare», avvertono Coldiretti e Filiera Italia.

Nel 2024 le vendite di formaggi italiani in Cina hanno raggiunto i 71 milioni di euro, con un aumento del 207% rispetto al 2020. Numeri ancora contenuti in valore assoluto, ma indicativi di un percorso di crescita rapido e strutturato.

Il paradosso è evidente. La Cina non è autosufficiente dal punto di vista lattiero-caseario ed è sempre più interessata ai segmenti di alta qualità. Proprio quelli in cui il Made in Italy può essere protagonista, a partire dai formaggi freschi. I formaggi rappresentano il secondo prodotto agroalimentare italiano esportato in Cina dopo il vino. L’export complessivo di cibo italiano ha superato nel 2024 i 600 milioni di euro. Eppure l’Unione europea incassa l’ennesima batosta. E gli europeisti restano muti. Come le tante schiere sinistre sempre pronte a battere le mani o passare per la Corte del comunista per eccellenza.

Una guerra commerciale a senso unico

I dazi sui latticini non sono un episodio isolato infatti. Prima sono arrivati quelli sulla carne di maiale, annunciati il 16 dicembre, con aliquote dal 4,9% al 19,8%. Prima ancora i dazi su brandy e grappe, pari al 34,9%, in vigore dal 5 luglio. Ora tocca ai prodotti a base di latte e formaggio, dal 22 dicembre, con tariffe che spaziano dal 21,95% al 42,7%. Dove i dazi non sono stati formalmente imposti, come sui prodotti a base di gomma, restano comunque in vigore livelli tariffari precedenti che oscillano dal 12,5% al 222%.

Teoricamente Bruxelles dovrebbe avere la forza per sostenere un confronto commerciale con Pechino. I numeri parlano chiaro. Nel 2024 l’Unione europea ha importato dalla Cina merci e servizi per 562,5 miliardi di euro, a fronte di un export di 280,5 miliardi. Un deficit commerciale complessivo di 282 miliardi.

Negli ultimi dodici mesi, fino a settembre 2025, lo sbilancio sui soli beni ha toccato quota 356 miliardi. Considerando che il surplus sui servizi raramente supera i 20 miliardi, è evidente che a fine 2025 il deficit complessivo aumenterà ulteriormente. E allora la domanda è inevitabile: se noi siamo un grande cliente e la Cina il nostro fornitore, perché ne usciamo sempre a pesci in faccia?

L’ipocrisia europea, tutta a sinistra

La risposta si trova tra le file della sinistra europeista. Leggendo gli interventi degli esponenti progressisti si comprende perché dei dazi di Pechino si parli poco e male. L’armata del Dragone può contare su sostenitori di peso qui. Il più illustre è Romano Prodi. Appena venti giorni fa, in una delle sue consuete trasferte nella terra di Xi, dichiarava: «Lo sviluppo e la trasformazione della Cina mi colpiscono in ogni aspetto. I cambiamenti sono davvero straordinari». E ancora: «Oggi i cinesi assorbono nuove idee e tecnologie molto velocemente. Questo modello è davvero unico».

Un entusiasmo che spiega il benevolo atteggiamento dei salottisti mainstream: a Pechino tutto viene perdonato. Lo stesso Massimo D’Alema si è spinto fino alle cerimonie in pompa magna,arrivando a mettere in imbarazzo gli stessi amici del Pd. Non tanto, si badi, per la Cina in sé, quanto per la presenza dell’“orribile Putin”. E come dimenticare il socialista spagnolo Pedro Sánchez, che delle sue frequenti sortite asiatiche ha fatto quasi un’abitudine.

Non ci sono commenti, inizia una discussione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

di Alice Carrazza - 23 Dicembre 2025