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Il libro di Lorenzo Grossi su Ambrogio Fogar. Nella foto grande, la spedizione al Polo Nord con il celebre cane Armaduk

L'intervista

Le mille vite dimenticate dell’«ultimo sognatore»: Lorenzo Grossi racconta al Secolo il suo libro su Ambrogio Fogar

Fu esploratore, navigatore, divulgatore ed esempio di tenacia e coraggio anche dopo il terribile incidente che lo paralizzò. Eppure, a vent'anni dalla scomparsa, i più giovani non sanno chi sia: il volume ricostruisce questa biografia straordinaria, perché - spiega l'autore - «è impossibile non raccontare un personaggio così enorme»

Cronaca - di Francesco Curridori - 7 Dicembre 2025 alle 07:00

Sono passati 20 anni da quando ci ha lasciato Ambrogio Fogar. Il grande esploratore milanese è entrato di diritto nella storia del Novecento italiano grazie alle sue molteplici imprese: tra tutte, fece epoca il suo solitario giro del mondo in barca a vela nel dicembre 1974, quando ritornò dopo oltre 13 mesi nello stesso porto da cui era partito, a Castiglione della Pescaia (Grosseto), al termine di una lunghissima traversata controcorrente del globo. Fogar continuò le avventure tra spedizioni al Polo Nord, conduzioni di programmi tv e partecipazioni a gare di rally. E fu proprio durante una “Parigi-Pechino” che, nel settembre ’92, Ambrogio subì un terribile incidente che lo paralizzò dal collo in giù. Tuttavia non perse mai la tenacia e il coraggio che l’avevano contraddistinto nel suo primo mezzo secolo di esistenza. Oggi, un libro scritto dal giornalista Lorenzo Grossi, Ambrogio Fogar. Le mille straordinarie vite dell’ultimo grande sognatore (Infinito Edizioni), fa rivivere una figura che ha incarnato l’inquietudine creativa di un’intera generazione.

Perché è importante ancora adesso raccontarlo?
«Lo spirito di Fogar mi ha sempre affascinato fin da quando ero ragazzino: per questo sono rimasto colpito dalla stragrande maggioranza delle persone sotto i 40 anni che ne ignoravano l’esistenza. Così, a due decenni dalla scomparsa, ho ritenuto importante ricostruirne la biografia integrale per rivolgermi sia a quel pubblico che lo aveva amato sia ai più giovani per i quali Ambrogio è solo un perfetto sconosciuto».

Chi è stato Ambrogio Fogar e come lo definiresti?
«È complicato descriverlo in poche parole. Nel libro parlo volutamente di “mille vite” perché corrispondono, mal contate, alle sue sfaccettature. Del resto Fogar è stato: maratoneta, nuotatore, ciclista, arrampicatore, scalatore, alpinista, paracadutista, pilota di aerei, navigatore, subacqueo. E ancora, andando oltre lo sport: scrittore, giornalista, saggista, cantante, divulgatore, ricercatore, conduttore televisivo, conferenziere e imprenditore. È impossibile non raccontare un personaggio così enorme».

Perché allora è stato dimenticato dopo la sua morte, come sostieni?
«La sua memoria non è stata coltivata adeguatamente dai mezzi di comunicazione di massa: dal 2005 non è mai uscito un film, una serie tv, un documentario su di lui. Eppure il materiale, anche di semplice repertorio, non manca. Senza trascurare poi i suoi ultimi 13 anni – non irrilevanti – di vita, dove Fogar è diventato un simbolo gigantesco nella lotta a favore dell’inclusione delle persone con disabilità, mostrandosi più volte in pubblico nonostante facesse molta fatica a parlare».

Qual è stato l’insegnamento importante che ci ha donato?
«Credo che il suo più grande lascito sia la voglia di sognare. Ambrogio si è sempre buttato, anche quando non si riteneva all’altezza, per capire limiti e paure. Ed è per questo che ogni giorno della sua vita è durato più di 24 ore. Insomma: ha vissuto così tante straordinarie vite… per morire del tutto».

Il video di “Galata Museo del Mare” di Genova dedicato ad Ambrogio Fogar, con la voce narrante della figlia

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