Generazione di fenomeni
La bolla del Natale “no contact”: la retorica contro la famiglia ci prova con un nuovo inganno
Secondo una certa narrazione, sempre più persone rifiutano di trascorrere le feste con genitori e parenti additati come relazioni tossiche. Lo schema dietro questo racconto è chiaro: le radici, la base della nostra identità, i legami comunitari sono il male e solo l'individuo monade è davvero libero
Sarebbe ora di smetterla di esaltare fenomeni che, alla prova dei fatti, sono destinati a restare confinati entro una cerchia ristretta di privilegiati oppure a rivelarsi del tutto irrisori. Basta. L’ultima tendenza è il Natale #nocontact (da scrivere obbligatoriamente con la #, che fa tanto cool). A cavalcarla c’è, puntualmente, Repubblica e una larga parte dell’informazione “che piace”, non soltanto italiana, capitanata dalla conduttrice statunitense Oprah Winfrey.
La bolla del Natale “no contact”
Si tratta della decisione di interrompere i rapporti con la propria famiglia d’origine, di recidere definitivamente il cordone ombelicale con i genitori, di sospendere ogni relazione con fratelli, sorelle e parenti vari. Di non tornare più a casa. E di farlo soprattutto a Natale, festività che, nell’immaginario culturale e tradizionale consolidato, dovrebbe invece mettere al riparo quelle relazioni ritenute fondative del nucleo familiare e dell’identità personale.
Una «scelta consapevole» – così viene propagandata – che nascerebbe dal desiderio di benessere mentale. Si scoprirà solo col tempo se l’impatto di questo fenomeno – come quello delle “grandi dimissioni” seguite al Covid – abbia davvero inciso sulle abitudini diffuse, tra cenoni e regali last minute. Difficile. Ma intanto se ne parla, facendo finta che si tratti di un tema d’avanguardia, anche sulla scorta de L’Anniversario, il romanzo di Andrea Bajani, vincitore del Premio Strega 2025. In questo quadro, sapere che la figlia dei coniugi Beckham abbia bloccato i genitori sui social non dovrebbe nemmeno rientrare nella categoria delle notizie. Eppure accade.
L’esaltazione dell’io per dare una spallata alla famiglia
La questione è dunque seria, pur restando residuale. Non fosse altro perché contribuisce ad abituarci a derubricare sia l’ideale della famiglia sia il Natale entro una zona di insofferenza e di irrilevanza culturale preoccupanti, lasciando spazio a un’idea artefatta dell’esistenza nella quale l’io diventa l’unico luogo degno di essere abitato, anche a costo della solitudine più fitta. In tal senso, il no contact appare come l’ennesimo messaggio subliminale capace di corrodere lentamente le certezze individuali, fino a manifestarsi nel momento esatto in cui uomini e donne decidono di rompere i legami con le proprie realtà di appartenenza e di farsi monadi.
Questo non significa negare che le famiglie possano essere, talvolta, luoghi di dolore, conflitti irrisolti, ipocrisie o segreti indicibili. Realtà disfunzionali, generatrici di sofferenza. Tutto vero, purtroppo. Ma non è la regola. Vale semmai il contrario: quando i rapporti familiari sono vissuti nella responsabilità e nell’amore, i problemi che naturalmente si abbattono sul singolo vengono in parte esorcizzati e sconfitti. Non serve una laurea in psicologia per saperlo; occorre semmai la predisposizione al buonsenso.
La vera essenza del “no contact”: un lusso narrativo
Da troppo tempo, invece, si tenta di gettare il bambino con l’acqua sporca, proponendo modelli e strumenti che mal si accordano con qualsiasi ideale comunitario. Qui non si tratta di difendere la religione, anche se essa aiuta a mantenere in primo piano i valori fondamentali di ogni società. Qui si tratta di blindare il reale e le sue evidenze. In fondo, la famiglia è da sempre il luogo della confidenza, dell’intimità, della naturalezza, della solidarietà e della memoria: dimensioni che non si ritrovano altrove, né nella scuola, né nella carriera, né nelle reti amicali. Ce ne si accorge soprattutto nei momenti di crisi, quando gli eventi drammatici della vita si impongono senza preavviso. Ed è allora che la ricetta del no contact mostra il suo limite. Più che una liberazione, appare per quello che è davvero: un lusso narrativo. Una moda inutile.