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Nello spazio tra diritti e Diritto prosperano le interpretazioni dei giudici

Il punto di vista

Il Diritto compresso dai diritti: nella selva di leggi prosperano le interpretazioni bislacche dei giudici

Dal caso della famiglia del bosco a quello dell'imam liberato, toghe e opinionisti hanno sempre una legge o un cavillo da richiamare. Occorre una reazione culturale e decidere tra diritti, infiniti e vaghi, e il Diritto inteso come emanazione della comunità nazionale nella sua forma statale

Politica - di Ulderico Nisticò - 21 Dicembre 2025 alle 09:15

Ci sarà sicuramente una legge, una sentenza, un’interpretazione, e, quando tutto manca, un sussurro di corte internazionale, insomma un atto giuridico qualsiasi secondo il quale un magistrato ha liberato il famoso iman che invece il governo, anch’esso in base a una legge e similia, intendeva espellere. Ecco un caso di diritto in conflitto, o, più banalmente, di Babele legale. Lo stesso per il risarcimento ai ladri, come più volte è accaduto; e sicuramente sorretto da qualche legge o interpretazione; eccetera.

Ricorderete tutti la famiglia nel bosco, cui sono stati sottratti i figli. Legalmente, s’intende, mica da rapitori o dall’Orco delle favole; e in base a qualche legge eccetera. Ebbene, grazie alla tv e ai giornali mi è stato concesso di leggere e sentire i seguenti pareri; e tutti pareri supportati da qualche apparato giuridico: 1. La famiglia ha diritto di vivere dove le pare, e ciò è legale; 2. I figli hanno diritto (in vero, anche dovere, però sorvoliamo) all’istruzione, e ciò è legale; 3. Si è scoperto che numerose famiglie, anche non nel bosco, hanno dichiarato di provvedere all’istruzione da sole senza scuola, pur senza precisare come papà e mamma siano o no in grado di spiegare la trigonometria sferica e i versi di Alceo; e ciò è legale; 4. Il fatto ha suscitato, ed era inevitabile, sensazione e curiosità, attirando l’attenzione di stampa e tv, che ne hanno molto parlato, e ciò è legale, anzi sancito dall’articolo 21 della carta costituzionale; 5. Parlare dei minori, osserva però più d’uno, non solo lede la loro “privacy” (che è tutelata da leggi), ma può causare futuri danni psicologici, sociali, lavorativi: tutti diritti protetti da qualche legge; di conseguenza, il diritto di parlarne, che è legale, confligge con il diritto alla “privacy”; e anche ciò è legale. Per mutuare una vecchia frase, “Grande è la confusione sotto il cielo”!

Sono solo un paio di esempi, per affrontare l’argomento di fondo, che è il solito richiamo a Tacito: «Corruptissima re publica, plurimae leges»; e tutti sappiamo che dilagano per la Fatal Penisola leggi a migliaia, molte e spesso dimenticate, ma che un operatore del diritto, magistrato o avvocato, può sempre ricordare o per illuminazione improvvisa della dea Mnemosine, o con l’aiuto dell’IA, o spesso a convenienza; e a convenienza invece scordare. E non parliamo di convenzioni internazionali firmate con l’illusione che allegramente lo si facesse per la foto di gruppo (“io c’ero!”), e che a tratti, a caso, possono tornare utili a qualcuno e a qualcun altro dannose.

Vorrei attirare l’attenzione non tanto su leggi, insegna ancora Tacito, «presentate a favore di singoli o per singole evenienze e non con validità universale», quanto sulle ideologie che generano le dilaganti e contrapposte leggi. Ci sono troppi diritti, e ciò mette a rischio il Diritto. Troppi diritti, che, come abbiamo tentato di dimostrare, sono non solo diversi ma persino contraddittori. E alla fine, troppi diritti mettono in discussione non solo il Diritto, ma anche, ma proprio i singoli diritti di ogni singolo cittadino; quelli quotidiani e che ne impegnano o danneggiano la vita.

Gli operatori del diritto, e in particolare i giudici, sono in parte responsabili con interpretazioni e opinioni più o meno fondate o immaginate, e serie o bislacche; sono in parte, forse in gran parte, vittime della confusione, e di meccanismi impazziti ma inarrestabili come un auto senza conducente e in discesa. E qui il lettore mi perdoni la deformazione professionale non di avvocato e giudice, che io non sono, ma di latinista. E il latino è la lingua del Diritto! Ebbene, accade troppe volte di apprendere di strana indulgenza di giudici nei confronti di rei; reo, in italiano, vuol dire colpevole, ma in latino vuol dire accusato prima del giudizio: la differenza è diametrale.

Magari qualche giudice ha sentito, in latino “pro reo”, che tuttavia non vuol dire “a favore del colpevole” ma “a favore dell’accusato”, quindi prima e non durante la condanna; e unicamente “in dubiis”, se non c’è certezza. Siamo però proprio sicuri che giudici e avvocati del 2025 conoscano il latino? E lo conoscano i legislatori? E, allargando il discorso, che avvocati e giudici, quando erano studenti, abbiano sostenuto con successo l’esame di filosofia del Diritto; materia che in molte Università è complementare, facoltativa, e invece dovrebbe essere l’essenziale? E quando non c’è la filosofia, sale al potere l’ideologia, che della filosofia è la parente povera.

L’opinione pubblica è sconcertata; sebbene ogni singolo cittadino, innocente o colpevole, e sconcertato, sia prontissimo a giovarsi di qualche avvocatesco cavillo per scansarsi un guaio. Proviamo a concludere. Serve, è ovvio, la riforma della magistratura; anzi bisognerebbe meglio mobilitarsi in vista del referendum. Serve anche sfrondare la selva oscura di leggi e leggine. Serve riscrivere leggi chilometriche e ridurle a una pagina massimo, a poche righe come le X Tabulae di Roma.

Sì, ma prima di tutto occorre una rivoluzione, anzi reazione culturale, e decidere tra diritti, gli infiniti e vaghi e non connessi diritti di chiunque e fare qualunque cosa, e il Diritto inteso come emanazione della comunità nazionale nella sua forma statale. Quello tra individui e comunità è un conflitto che si combatte almeno dal XVI secolo, e che vanta, dalla parte dello Stato come fonte della giustizia, mica politicanti di passaggio, bensì Bodin, Hobbes, Hegel, Costamagna; dall’altra, dell’individuo come fonte di decisione e diritti, schiera Rousseau, Voltaire, e, paradossalmente, Nietzsche.

Una bella discussione, vero? La devono affrontare i filosofi, se ce ne sono ancora di genuini; e quella categoria culturale a mio avviso oggi rarissima: i giureconsulti, o giurisperiti. Quelli romani i quali scrivevano le leggi che poi gli imperatori, bravi militari e politici e non avvocati, firmavano per renderle salde e sacre. Giustiniano, dove sei?

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di Ulderico Nisticò - 21 Dicembre 2025