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Fisco, i numeri smentiscono i Pinocchi della sinistra che piacciono alla Gruber. Fazzolari: attacchi ridicoli

La manovra

Fisco, i numeri smentiscono i Pinocchi della sinistra che piacciono alla Gruber. Fazzolari: attacchi ridicoli

Economia - di Lucio Meo - 19 Dicembre 2025 alle 19:22

Dire che le tasse in Italia sono aumentate è facile come bere un bicchiere d’acqua, ma si rischia di affogare a furia di ripetere bugie nella speranza che qualcuno abbocchi. Affermare verità basate sui numeri è un po’ più complicato e spesso è un esercizio non compatibile con i tempi della tv, specie di alcuni talk: come quelli di Lilli Gruber, che vivono solo di attacchi alla Meloni e di slogan buttati lì, a beneficio della militanza giornalistica, come accaduto ieri sera con un giornalista che ha fatto sorridere la conduttrice affermando con boria che la premier non capisce di economia. Ma l’economia, come il fisco, non è materia per tribuni televisivi, anche quando si odia il nemico. Ecco perché quando la sinistra, che in questi giorni di discussione in Parlamento della manovra, si impegna per dimostrare che la promessa di abbassare le tasse da parte del governo Meloni non è stata mantenuta, fa tutto tranne che citare cifre, indicatori economici, fonti ufficiali e analisi di bilancio.

Le bugie della sinistra sul fisco targato Meloni

Citare l’aumento della percentuale di pressione fiscale in Italia è facile, ma non è corretto, non spiega nulla, perché quel numero, come spiegherebbe bene uno studente di Ragioneria, non corrisponde a un generale aumento delle tasse per lavoratori, famiglie e imprese, come spesso sostenuto dalla sinistra. La pressione fiscale è infatti il rapporto tra le entrate tributarie (imposte dirette, indirette, contributi) e il Prodotto Interno Lordo (PIL), e non semplicemente la somma delle aliquote applicate ai singoli redditi. Ecco che in primis va considerato che l’elevata inflazione del 2022 e del 2023 ha spinto in alto il PIL nominale, quindi il denominatore del rapporto che determina la pressione fiscale, cresciuto, rispetto all’anno precedente, rispettivamente dell’8,4% e del 7,2%, contribuendo a ridurre il rapporto. Effetto molto più contenuto nel 2024 con un +2,7%, stesso valore stimato per il 2025. Ma è la maggiore “ricchezza” ad aver determinato un gettito maggiore. Negli ultimi anni, la crescita della pressione fiscale è stata determinata soprattutto dalla ripresa occupazionale e dall’aumento dei salari, fenomeni che hanno portato a un incremento del gettito tributario, ma anche a una maggiore quota di redditi da lavoro dipendente rispetto al PIL. I dati Istat relativi ad ottobre 2025, certificano che i lavoratori stabili sono aumentati di oltre 1,2 milioni rispetto a quando l’attuale Governo si è insediato. A questo si aggiungono i dati Istat relativi all’aumento dei salari contrattuali, superiori al 3% sia nel 2024 sia nel 2025, e con un aumento complessivo dei redditi da lavoro dipendente del 5,2% nel 2024.

Il lavoro aumenta e cresce anche il gettito fiscale

Vale appena la pena di ricordare che il reddito da lavoro dipendente è quello su cui lo Stato riesce a prelevare risorse con la massima efficacia, in tasse e i contributi vengono trattenuti immediatamente (ritenuta alla fonte), garantendo un gettito certo e superiore rispetto ad altre forme di reddito più soggette a evasione. I dati Istat mostrano che il 49% delle entrate fiscali proviene dai salari, che però rappresentano solo il 38% del PIL, mentre i profitti (50% del PIL) sono tassati molto meno. Quando crescono i salari, il gettito cresce più rapidamente del PIL, innalzando così la pressione fiscale. Un altro fattore rilevante è il fenomeno del “fiscal drag”: nei sistemi progressivi, l’inflazione spinge i redditi in fasce più elevate di imposta, anche a parità di aliquote. Tuttavia, questo effetto è stato in parte compensato dalle misure del governo Meloni, che ha anche favorito il passaggio dal lavoro nero al lavoro regolare, incrementando ulteriormente le entrate senza modificare il PIL. C’è poi la questione dei contratti collettivi di lavoro scaduti da tempo, che hanno comportato nel 2024, e ancor più nel 2025, il pagamento anche degli arretrati e, di conseguenza, delle relative imposte e contributi.

Taglio dell’Irpef, bonus in busta paga per i lavoratori a basso reddito, 25 miliardi annui a partire dal 2026, soprattutto a favore delle fasce medio-bassi stanno a dimostrare che sul piano fiscale una rivoluzione è iniziata, in meglio e non in peggio. “Gli attacchi di Pd, M5S e opposizioni varie al ministro Giorgetti sono veramente ridicoli. Partiti che hanno compromesso i conti dello Stato e gestito i soldi degli italiani con grottesca incapacità, oggi hanno la faccia tosta di attaccare l’attuale ministro dell’Economia per la gestione della legge di bilancio. Se non avessimo ereditato i loro disastri e non avessimo 40 miliardi di superbonus da pagare nel solo 2026, avremmo coperture a sufficienza per finanziare qualsiasi provvedimento ci venisse in mente”, sentenzia il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, sentito telefonicamente da LaPresse.

Negli ultimi anni l’aliquota media delle imposte sulle famiglie è diminuita, grazie agli interventi mirati di riduzione dell’Irpef, che continueranno anche con la Legge di Bilancio 2026 con misure a favore anche del ceto medio, oltre al taglio del cuneo fiscale. La matematica non è un’opinione, e neanche la manovra.

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di Lucio Meo - 19 Dicembre 2025