Dialogo come metodo
Atreju 2025, Arianna Meloni: che peccato non avere Schlein e Conte sul palco insieme. “Un’occasione persa”
La segretaria di FdI dice: “Non riescono a confrontarsi tra loro e presentarsi come una coalizione neanche dentro una manifestazione come Atreju, figuriamoci quando si presentano agli elettori”
Arianna Meloni preferisce osservare, ascoltare, organizzare. Ma quando decide di spiegare al Foglio la trama che regge Atreju — la festa che da trent’anni accompagna l’immaginario e la crescita della destra italiana — lo fa con una chiarezza che rovescia molti cliché. Per lei il confronto non è un gesto ornamentale né un esercizio di stile: è un metodo politico, l’unico realmente capace di far respirare una democrazia che ha bisogno di voci diverse, non di steccati.
Atreju: luogo di confronto
Il capo della segretaria politica di Fratelli d’Italia ha un compito decisivo: la cura di un luogo in cui si ritrovano “tutti”, dal calcio alla diplomazia, dallo spettacolo alla politica. E quest’anno Atreju porta sul palco 441 relatori, 77 giornalisti, 24 direttori: un mosaico che racconta la destra di governo, ma anche un’Italia che non rinuncia alla discussione pubblica. “Purtroppo Maria De Filippi non poteva venire, ma la capisco perfettamente: sta registrando ‘C’è Posta per te’”, rivela.
La regia silenziosa e il valore di un invito
Meloni lo racconta con semplicità: settimane a fare telefonate, a “disturbare” con educazione, ad annotare presenze e conferme. È la politica come artigianato, fatta di attenzione e di un senso di ospitalità che non distingue per appartenenza. Da Raoul Bova a Sabino Cassese, da Mara Venier a Matteo Renzi, da Carlo Conti a Gianluigi Buffon e Angelo Bonelli, perfino Abu Mazen e il cardinal Matteo Maria Zuppi parteciperanno.
E quando qualcuno rifiuta l’invito, come Nicola Fratoianni, per motivi politici o per scelta personale, per Arianna resta sempre l’idea di un’occasione sfuggita. Sulla mancata presenza di Elly Schlein, lo dice senza ostilità: “Conte ha accettato un confronto a tre con Giorgia. Lui e Schlein avrebbero anche potuto coalizzarsi contro mia sorella, darsi forza l’uno con l’altra”. Parole che non suonano come provocazione, ma come la fotografia di ciò che il sistema oggi fatica a produrre: confronto vero, capace di misurare leadership e programmi. Ma la sinistra a questo non sembra ancora pronta.
La normalità come antidoto
C’è un tratto umano che colpisce: Arianna Meloni non veste i panni della stratega o della sorella ingombrante del Presidente del Consiglio. Rivendica invece la propria timidezza, la volontà di restare ancorata alla quotidianità — “Ieri sono andata ai colloqui con i professori di mia figlia. E sono contenta perché dicono che è brava” — come forma di disciplina personale. Il timore più grande? “Il perdere il contatto con la realtà, l’adagiarsi sugli allori. Bisogna mantenere umiltà e piedi piantati a terra.”.
Per lei l’esempio è Giorgia Meloni, “tanta concentrazione, tanto studio e una inesauribile resistenza fisica”. Non un mito da imitare, ma un modello di continuità tra vita privata, responsabilità e impegno.
Un laboratorio di idee
La forza di Atreju, secondo Arianna, sta nella divergenza rispettosa, nell’idea che il dissenso non sia una minaccia ma un fertilizzante della politica. Le prime edizioni erano quasi epiche: agosto passato a cercare ospiti, notti svegli per impedire furti di sedie, pannelli dipinti a mano, perfino un furgone guidato da lei per recuperare materiale elettrico. Una festa costruita da ragazzi che avevano la pretesa — e il coraggio — di parlare con ministri, premier, leader sindacali.
Da qui nasce la convinzione che buone proposte nascano dall’incontro, non dalla chiusura. È un punto che Arianna ripete: se in Parlamento il dibattito non è sereno, non è un motivo per rinunciare; anzi, è la prova che occorre insistere.
E sulla legge elettorale è netta: il dialogo “sarebbe importante”. Perché un sistema in cui le opposizioni “non riescono a confrontarsi tra loro e presentarsi come una coalizione neanche dentro una manifestazione come Atreju, figuriamoci quando si presentano agli elettori”. Dalla legge elettorale al premierato, “su tutto quello che è giusto fare per l’Italia”, dice.
Quando cambiare idea è un atto di intelligenza
Tra gli ospiti di quest’anno spicca Antonio Di Pietro, sostenitore del sì al referendum sulla separazione delle carriere. Una presenza simbolicamente forte, che Arianna interpreta così: “Adattare il proprio pensiero ai tempi è segno di intelligenza”. Non un tradimento delle idee, ma il riconoscimento di un’evoluzione necessaria.
E aggiunge, con un mezzo sorriso: “Secondo me ci sono parecchi Di Pietro che la pensano come lui, ma non lo dicono”.
Il ritorno: Rutelli vs. Fini
L’immagine più potente di Atreju 2025, però, arriverà l’8 dicembre, quando sul palco si ritroveranno Francesco Rutelli e Gianfranco Fini, rivali nelle prime elezioni dirette per il sindaco di Roma. Una sfida che risale al 1993 e oggi ritorna sul palco.
Arianna Meloni lo ricorda: quella stagione dimostrò che l’impossibile può “prendere forma”. Non nella vittoria, ma nella legittimazione di provarci. Ed è proprio questo il senso del confronto: mettere due avversari sullo stesso palco e lasciare che sia il merito — non il pregiudizio — a decidere chi convince.
Il futuro della destra e il ruolo del dialogo
A Roma si aprirà Atreju con il sindaco Roberto Gualtieri: una scelta che conferma la volontà di misurarsi con chi governa la capitale, senza sottrarre la città a un giudizio libero. “Semmai lo ricandideranno loro”, dice Arianna, con la sicurezza di chi sa che sarà la campagna elettorale, non l’appartenenza, a definire gli equilibri.
Sullo sfondo resta una convinzione di fondo: una politica senza confronto smette di rappresentare il Paese. E non è un caso che Arianna individui nell’astensionismo il sintomo più evidente di questa frattura: l’Italia si allontana dalle urne quando non vede progetti chiari, quando tutto appare frutto di “inciuci di palazzo”.